L’illegalità ambientale in Italia
34.120 reati, 28.132 persone denunciate, 161 ordinanze di custodia cautelare, 8.286 sequestri, per un giro di affari di 16,7 miliardi di euro gestito da 302 clan, 6 in più rispetto a quelli censiti lo scorso anno. I numeri degli illeciti ambientali accertati lo scorso anno delineano una situazione di particolare gravità. Il 45,7% dei reati è concentrato nelle quattro regioni a tradizionale presenza mafiosa (Campania, Sicilia, Calabria e Puglia) seguite dal Lazio, con un numero di reati in crescita rispetto al 2011 (+13,2%) e dalla Toscana, che sale al sesto posto, con 2.524 illeciti (+15,4%). Prima regione del Nord Italia, la Liguria (1.597 reati, +9,1% sul 2011). Da segnalare per l’incremento degli illeciti accertati anche il Veneto, con un +18,9%, e l’Umbria, passata dal sedicesimo posto del 2011 all’undicesimo del 2012. E’ solo una piccola porzione dei numeri riportati da Legambiente nel rapporto annuale intitolato Ecomafia 2013.
Secondo i dati riportati dalla lega ambientalista nel 2012 sono cresciuti anche gli illeciti contro gli animali e la fauna selvatica, di circa il 6,4% rispetto all’anno precedente, sfiorando quota 8mila, a una media di quasi 22 reati al giorno e ha il segno più anche il numero di incendi boschivi che hanno colpito il nostro paese: esattamente +4,6% rispetto al 2011, un anno orribile per il nostro patrimonio boschivo dato che aveva fatto registrare un picco del 62,5% rispetto al 2010. È la Campania a guidare anche quest’anno la classifica dell’illegalità ambientale nel nostro paese, con 4.777 infrazioni accertate (nonostante la riduzione rispetto al 2011 del 10,3%), 3.394 persone denunciate e 34 arresti. E il discorso vale sia per il ciclo illegale del cemento sia per quello dei rifiuti.
“Quella delle Ecomafie – spiega il presidente di Legambiente, Vittorio Cogliati Dezza – è l’unica economia che continua a proliferare anche in un contesto di crisi generale. Che continua a costruire case abusive quasi allo stesso ritmo di sempre mentre il mercato immobiliare legale tracolla. Con imprese illegali che vedono crescere fatturati ed export, quando quelle che rispettano le leggi sono costrette a chiudere i battenti. Un’economia che si regge sull’intreccio tra imprenditori senza scrupoli, politici conniventi, funzionari pubblici infedeli, professionisti senza etica e veri boss, e che opera attraverso il dumping ambientale, la falsificazione di fatture e bilanci, l’evasione fiscale e il riciclaggio, la corruzione, il voto di scambio e la spartizione degli appalti. Semplicemente perché conviene e, tutto sommato, si corrono pochi rischi. Le pene per i reati ambientali, infatti, continuano ad essere quasi esclusivamente di tipo contravvenzionale e l’abbattimento degli edifici continua ad essere una eventualità remota. Anzi, agli ultimi 18 tentativi di riaprire i termini del condono edilizio si è anche aggiunta la sciagurata idea di sottrarre alle procure il potere di demolire le costruzioni abusive”.
L’incidenza dell’edilizia illegale nel mercato delle costruzioni è passata dal 9% del 2006 al 16,9% stimato per il 2013. Mentre le nuove costruzioni legali sono crollate da 305mila a 122mila, quelle abusive hanno subito una leggerissima flessione: dalle 30mila del 2006 alle 26mila nel 2013. La differenza è dettata soprattutto dai costi di mercato: a fronte di un valore medio del costo di costruzione di un alloggio con le carte in regola pari a 155mila euro, quello illegale si realizza con un terzo dell’investimento, esattamente 66mila euro. Non sarebbe comunque un buon affare se si corresse davvero il rischio della demolizione, ma si tratta di un’eventualità purtroppo remota: tra il 2000 e il 2011 è stato eseguito appena il 10,6% delle 46.760 ordinanze di demolizione emesse dai tribunali.
Basti pensare che dal 2003 al 2012 sono state 283.000 le nuove case illegali, con un fatturato complessivo di circa 19,4 miliardi di euro.
L’accentuata dimensione globale delle attività degli ecocriminali, la diversificazione delle loro attività, si accompagnano in maniera sempre più evidente con l’altra piaga che affligge il nostro paese: la corruzione. In costante e inarrestabile crescita. Secondo la Relazione al Parlamento della Dia relativa al primo semestre 2012, le persone denunciate e arrestate in Italia per i reati di corruzione sono più che raddoppiate rispetto al semestre precedente, passando da 323 a 704. E se la Campania spicca con 195 persone denunciate e arrestate, non sfigurano nemmeno la Lombardia con 102 casi e la Toscana a quota 71, seguite da Sicilia (63), Basilicata (58), Piemonte (56), Lazio (44) e Liguria (22). Di mazzette e favori si alimenta, infatti, quell’area grigia che offre i propri servizi alle organizzazioni criminali o approfitta di quelli che gli vengono proposti. Dal primo gennaio 2010 al 10 maggio 2013, sono state ben 135 le inchieste relative alla corruzione ambientale, in cui le tangenti, incassate da amministratori, esponenti politici e funzionari pubblici, sono servite a “fluidificare” appalti e concessioni edilizie, varianti urbanistiche e discariche di rifiuti. La Calabria è, per numero di arresti eseguiti (ben 280), la prima regione d’Italia, ma a guidare la classifica come numero d’inchieste è la Lombardia (20) e al quinto posto della classifica, dopo Campania, Calabria e Sicilia, figura la Toscana. Insomma, a “tavolino” si spartiscono appalti, grandi e piccoli, in quasi tutte le province italiane con un enorme danno per la collettività chiamata a sostenere oneri superiori a quelli che si sarebbero determinati nel rispetto della legge. Così, nel corso del 2012 il numero dei comuni sciolti per infiltrazione mafiosa è salito a 25 (erano 6 nel 2011).
A pagare è anche e soprattutto il made in Italy: nel 2012 sono state accertati lungo le filiere agroalimentari ben 4.173 reati penali, più di 11 al giorno, con 2.901 denunce, 42 arresti e un valore di beni finiti sotto sequestro pari a oltre 78 milioni e 467mila0 euro (e sanzioni penali e amministrative pari a più di 42,5 milioni di euro). Se si aggiungono anche il valore delle strutture sequestrate, dei conti correnti e dei contributi illeciti percepiti il valore supera i 672 milioni di euro. Il controllo delle mafie nasce dalle campagne, passa attraverso il trasporto e il controllo dei mercati ortofrutticoli all’ingrosso, e arriva alla grande distribuzione organizzata. La scalata mafiosa spesso approda poi nella ristorazione, dove gli ingenti guadagni accumulati consentono ai clan di acquisire ristoranti, alberghi, pizzerie, bar, che anche in questo caso diventano posti ideali dove “lavare” denaro e continuare a fare affari.
Anche per quanto riguarda la tutela del nostro patrimonio culturale alla minaccia dei clan si sommano altri interessi criminali, inettitudine e scarsa attenzione dei poteri pubblici, che lasciano troppe volte campo libero ai predoni d’arte. Secondo l’Istituto per i beni archeologici e monumentali del Consiglio nazionale delle ricerche (Ibam-Cnr), la perdita del patrimonio culturale ci costa circa un punto percentuale del Pil, calcolando il solo valore economico e non anche quello culturale che non può essere calcolato. Nel corso del 2012 le forze dell’ordine hanno accertato 1.026 furti di opere d’arte (891 a opera dei carabinieri del Comando tutela patrimonio culturale), quasi tre al giorno, con 1.245 persone indagate e 48 arrestate; e ancora 17.338 oggetti trafugati e ben 93.253 reperti paleontologici e archeologici recuperati, per un totale di oltre 267 milioni di euro di valore dei beni culturali sequestrati.