Il contrasto della coerenza in Papa Francesco
Dovessimo definirlo, diremmo: in contrasto.
Coi cliché e gli schemi dietro cui i lontani dalla Chiesa amano trincerarsi per giustificare la distanza da messe e sacramenti.
Ritratto del Papa, ritratto di un uomo. E di fronte a Bergoglio cadono gli alibi di chi descrive la Chiesa fuori dal mondo, ignara dei problemi ma pronta a puntare il dito contro chi ci vive dentro.
In contrasto con le rigide regole della sicurezza vaticana: percorsi tracciati per settimane e non modificabili, papa-mobile ben protetta, la mano a benedire i fedeli dal vetro.
In contrasto col cerimoniale di Palazzo, con le lussuose enormi stanze da abitare da solo, l’anello del pescatore in oro massiccio, con la mozzetta rossa, al collo il crocifisso dorato.
In contrasto con quella finestra così alta rispetto alla Piazza, col seggio regale allestito tra i cardinali subito dopo l’elezione.
In contrasto coi paradigmi dei dotti e degli intellettuali della gerarchia ecclesiale, col moralismo implacabile.
Eccolo lì, invece, Papa Francesco. In piedi nella Cappella Sistina a prendersi gli abbracci di chi – illuminato – ha scritto il suo nome a guidare la Chiesa. Eccolo lì a parlare col suo accento latinoamericano un italiano così simile a quello dei nostri emigranti, a salutare la folla come quando s’invita un amico a cena. Eccolo a bere il mate tra i giovani del Brasile, a fare telefonate improvvise e spiazzanti ai fedeli che in una lettera provano a raccontargli il loro dolore. Abbraccia gli ammalati il Papa, si china sulle carrozzelle, e ride, sorride, canta, balla, l’animo e il trasporto della gioia del Sud del mondo.
Così vicino che quel contrasto si fa carne e la Chiesa sembra davvero il mondo, o almeno un pezzo di mondo che prova a rientrare nelle sfide quotidiane, senza lo snobismo dei secoli passati. Pastore o padre non fa la differenza, perché è l’uomo che parla all’uomo, e parla di Dio come ne parlò il Figlio duemila e più anni fa.
Misericordia è la sua Parola. Amore, perdono, pietà, libertà, comprensione, accoglienza. Senza il macigno del peccato, senza il giudizio della colpa. Perché il mondo lui lo accetta – e lo ama – così com’è, e gli sembra «inutile chiedere a un ferito grave se ha il colesterolo e gli zuccheri alti». E sogna una Chiesa «madre e pastora», con «ministri capaci di scaldare il cuore», un luogo di vita, simile a un «ospedale da campo dopo una battaglia».
E la annuncia quella Chiesa che immagina e che nella sua Argentina ha provato a costruire, senza il timore di dare scandalo a chi annuncia il suo stesso Signore. E la annuncia a tutti, ai cristiani convinti, ai giovani che sanno pregare, agli uomini “di buona volontà”, a chi da sempre compie “opere buone”, a chi Dio già lo conosce. E poi la annuncia agli altri: al figliol prodigo che non sa di essere amato e ha paura di tornare a casa, a chi ha sbagliato e si vergogna di chiedere perdono, a chi si difende attaccando, a chi si sente giudicato, a chi si sente disprezzato, a chi crede di non avere un posto.
Ed eccolo il Papa gesuita che apre le braccia ai divorziati risposati, alle donne che hanno abortito, agli omosessuali. Che a loro – e a tutto il mondo – dice: «Se una persona omosessuale è di buona volontà ed è in cerca di Dio, io non sono nessuno per giudicarla. Lo dice anche il Catechismo». O ancora: «Non possiamo insistere solo sulle questioni legate ad aborto, matrimonio omosessuale e uso dei metodi contraccettivi. Questo non è possibile. Io non ho parlato molto di queste cose, e questo mi è stato rimproverato. Ma quando se ne parla, bisogna parlarne in un contesto. Il parere della Chiesa, del resto, lo si conosce, e io sono figlio della Chiesa, ma non è necessario parlarne in continuazione»; «Questa è anche la grandezza della Confessione: il fatto di valutare caso per caso, e di poter discernere qual è la cosa migliore da fare per una persona che cerca Dio e la sua grazia. Il confessionale non è una sala di tortura, ma il luogo della misericordia nel quale il Signore ci stimola a fare meglio che possiamo. Penso anche alla situazione di una donna che ha avuto alle spalle un matrimonio fallito nel quale ha pure abortito. Poi questa donna si è risposata e adesso è serena con cinque figli. L’aborto le pesa enormemente ed è sinceramente pentita. Vorrebbe andare avanti nella vita cristiana. Che cosa fa il confessore?».
Quello predicato da Papa Francesco è dunque un rapporto a tu per tu con Dio, dove confessione, ascolto, perdono, riconciliazione sono un tutt’uno, contemporaneamente. E sembra di sentire Cristo, quando insegnò a chiamare Dio “Padre nostro”, o parlò del “medico venuto per guarire i malati, non i sani”, quando abbracciò la Maddalena e perdonò il cuore pentito di ladri, assassini, eunuchi.
In contrasto, si diceva. Eppure ogni pezzo sembra tornare al suo posto, e ogni ruolo si smarca dai suoi confini definiti per andare incontro all’altro, nella sua sfera più intima, più vera.
Un contrasto che mai fu più coerente, più credibile, più convincente, più ovvio, più atteso.