La tragedia del Vajont
Vajont, un nome che evoca una tragedia, una delle peggiori accadute in Italia. 1.910 vittime, interi paesi cancellati da una massa di acqua, fango e rocce la notte del 9 ottobre 1963.
Un disastro definito “evitabile” perché provocato dall’uomo, da un progetto sbagliato che, nonostante avvertimenti e perizie, si decise di portare a termine solo per giustificare l’investimento fatto e la necessità di produrre energia elettrica.
Avvenne 50 anni fa, in un’Italia diversa da quella attuale, dove ancora si sentiva il peso della distruzione economica e civile dovuta alla guerra, dove le comunità montane venivano considerate un intralcio per lo sviluppo e il progresso. Un’Italia ancora poco attenta, dove le notizie circolavano con difficoltà e l’esigenza principale era far ripartire l’industria e la produzione.
Gli allarmi di geologi e ingegneri non furono ascoltati e lo Stato assistette distratto alla costruzione di un bacino idroelettrico sbagliato nel posto sbagliato: c’era la convinzione che la tecnica e la potenza del cemento potessero governare la natura e addomesticare la montagna e la sua frana.
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