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Il problema delle carceri italiane

di Giampiero Francesca

carceri_sovraffollamentoChe la si definisca vergognosa, drammatica o inammissibile la condizione di sovraffollamento delle carceri italiane rimane, ormai da decenni, una perenne emergenza. Un’emergenza rilanciata con vigore dalle parole del presidente Giorgio Napolitano attraverso l’intenso quanto puntuale messaggio inviato alle Camere. Al di là dei tentativi di strumentalizzazione le parole del presidente descrivono, in modo lucidamente stringente, il quadro di una situazione ormai strutturalmente fuori controllo e possono essere utilizzate come mappa per cercare di muoversi all’interno di questo organismo dal “malfunzionamento cronico”. La sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo approvata l’8 gennaio 2013, Torreggiani e altri sei ricorrenti contro l’Italia, richiamata nel messaggio ai parlamentari, è infatti solo l’ultimo ammonimento ufficiale sul “carattere strutturale e sistemico del sovraffollamento carcerario”. I dati in materia appaiono implacabili e non lasciano spazio ad interpretazioni. Nei 205 istituti penitenziari italiani sono presenti 64.758 detenuti, numero che supera di oltre il 30% (135.9%) la capienza complessiva regolamentare delle carceri (pari a 47.615). Se si analizza poi l’evoluzione negli ultimi vent’anni del problema emerge con maggior forza la sua strutturale sistematicità. All’aumento del numero dei detenuti (passato dai 47.316 del 1992, pari a 83 detenuti per 100.000 ai 64.758 di oggi, pari a 110,7 detenuti per 100.000 abitanti) non sono infatti corrisposte né adeguate politiche penitenziarie né una più strutturata e completa riforma del sistema giudiziario italiano.
Quali possono essere dunque le soluzioni di fronte ad una così gravosa questione?
Considerare i provvedimenti di emergenza come valide scappatoie per un problema evidentemente cronicizzato non sembra una strada dai profittevoli risultati. Il messaggio del presidente si pone così come un utile strumento per provare ad affrontare concretamente la questione, cercando rimedi quanto più possibili definitivi. Una risposta, quella proposta da Napolitano, che si fonda su due cardini; la riduzione del numero complessivo dei detenuti e l’aumento della capienza complessiva degli istituti penitenziari. L’attuabilità del primo punto è però legata alla realizzazione di una serie di iniziative riassumibili in alcuni obiettivi. L’introduzione di meccanismi di probation, ovvero l’allargamento dell’applicabilità dell’istituto della “messa alla prova”, e la previsione di pene limitative della libertà personale “non carcerarie” riassumono i primi due rimedi prospettati nel messaggio rivolto al Parlamento, già in parte recepiti da un disegno di legge delega approvato dalla Camera e ora all’esame del Senato. Più foriera di polemiche appare la proposta di ridurre l’area di applicazione della custodia cautelare in carcere. L’utilizzo di questo strumento, guardando semplicemente i dati del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, appare sovradimensionato. Dei 64.758 detenuti, infatti, ben 12.333 (circa il 19%) sono in attesa di primo giudizio a cui si aggiungono altrettanti 12.302 condannati non definitivi (6.359 appellanti, 4.300 ricorrenti, 1.643 imputati con a carico più fatti, ciascuno dei quali con il relativo stato giuridico, purché senza nessuna condanna definitiva). Numeri che dimostrano quanto l’uso di questo strumento giudiziario sia andato ben oltre quello previsto sin dalla nostra Costituzione. Ancor più delicata appare la questione alla possibilità, per i cittadini stranieri, di espiare la loro pena nei paesi di origine. Secondo i dati del DAP sono 22.770 (circa il 35%) i detenuti stranieri nel nostro paese. Il problema però, come ammesso dallo stesso ministro Cancellieri, presenta molteplici aspetti di difficile soluzione. L’omologazione delle condanne emesse in Italia, così come la difficoltà di trattare i casi dei condannati non in via definitiva (45%) si pongono come ostacoli di ordine giuridico mentre appare di carattere più prettamente politico la necessità di stringere accordi plurinazionali per rendere più rapidi e agevoli i trasferimenti. Accanto a questo tipo di iniziative il messaggio del presidente poneva come secondo architrave l’aumento della capienza complessiva degli istituti penitenziari. Un aumento già previsto dal ministro Cancellieri che intervenendo alla Camera, ha affermato che “entro il mese di maggio 2014 saranno disponibili altri 4 mila nuovi posti detentivi mentre al completamento del Piano Carceri i nuovi posti saranno circa 10 mila”.
L’urgenza della scadenza posta dalla Corte di Strasburgo (il termine concesso italiano verrà a scadere il 28 maggio del 2014) impone però, accanto alla valutazione di proposte pro futuro, di attuare strumenti di emergenza. E’ in quest’ottica che prende forma il suggerimento di misure quali l’indulto o l’amnistia. L’indulto, sperimentato l’ultima volta con la legge n. 241 del 2006, previsto dall’art. 174 del codice penale, è un provvedimento con il quale il Parlamento condona o commuta parte della pena per i reati commessi prima della presentazione del disegno di legge. L’amnistia, contenuta nell’art. 79 della Costituzione e normata dall’art. 151 del codice penale, prevede invece l’estinzione dei reati per la quale è concessa e, se vi è stata condanna, fa cessare l’esecuzione della condanna e le pene accessorie. Proprio quest’ultima parte del messaggio inviato alle Camere ha suscitato le maggiori polemiche, accusato, come troppo spesso accade in materia di riforme giudiziarie, di esser pensato e proposto pro o contro singoli attori politici. I dati riportati dallo stesso messaggio del presidente riportano la questione però sul piano più strettamente pragmatico. Come si evince dai dati del DAP sarebbero circa 24.000 i condannati in via definitiva che si trovavano ad espiare una pena detentiva residua non superiore a tre anni e che potrebbero dunque beneficiare di un provvedimento di indulto. L’amnistia invece inciderebbe sui cosiddetti reati bagatellari, quelli con pene inferiori a due anni, consentendo così ai magistrati di dedicarsi con maggiore celerità ai reati più gravi.

 

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