La tribolata storia di Alitalia
La vicenda di Alitalia sembra essere di nuovo ad un bivio. Intervento pubblico o cessione privata? Asset strategico o mero simbolo?
Per orientarsi all’interno della spinosa questione è dunque necessario riassumere le tappe della complessa storia recente del nostro vettore. Risale infatti al 2006 la decisione dell’allora governo Prodi di cedere il 30,1% della compagnia (quota innalzata poi al 39,9%) attraverso un’Opa, offerta pubblica di acquisto. La prima gara, cui parteciparono fra gli altri AP Holding di Carlo Toto (finanziaria controllante di Air One), Texas Pacific Group e la compagnia russa Aerflot, fallì a causa del ritiro di tutti i partecipanti. Il secondo tentativo di privatizzazione, che vide protagonisti come attori principali Air France-KLM, Lufthansa, AP Holding, Aerflot e una cordata rappresentata da Antonio Bladassarre, già amministratore delegato della Rai, si concluse il 21 dicembre 2007 con l’avvio di una trattativa esclusiva fra il Cda di Alitalia e la compagnia francese. Il 15 marzo 2008, il consiglio di amministrazione italiano accettava l’offerta vincolante di Air France-KLM del valore complessivo di 1.7 miliardi di euro che comprendeva anche una ricapitalizzazione di 1 miliardo, 138.5 milioni per l’acquisto delle azioni Alitalia e 608 milioni per le obbligazioni convertibili. Fra le condizioni poste alla compagnia francese i principali paletti riguardavano invece il raggiungimento di un accordo con i sindacati, l’impegno scritto del governo a mantenere il portafoglio dei diritti di traffico di Alitalia e la sottoscrizione di un accordo con Aeroporti di Roma sui livelli di servizio. Alitalia avrebbe però mantenuto un ruolo autonomo, identità italiana e un proprio marchio, logo e livrea. L’accordo prevedeva però anche un esubero di 2.100 unità, tutte relative al comparto servizi, e la riduzione della flotta a 149 aerei. La mancata intesa con le parti sociali unita alle dichiarazioni di Silvio Berlusconi che, in caso di una sua rielezione a Palazzo Chigi, non garantiva il proseguimento di un eventuale accordo, portarono però, il 21 aprile 2008, il presidente francese Jean-Cyril Spinetta ad annunciare il ritiro dell’offerta di acquisto. Il giorno successivo il Consiglio dei ministri approvava un decreto legge per concedere un prestito ad Alitalia di 300 milioni da restituire entro il 31 dicembre. A proposito di questo primo snodo cruciale della vicenda vale la pena soffermarsi sulle parole del Prof. Mario Sebastiani, che evidenziava come Alitalia non necessitasse solo “di un partner finanziario ma, anche, di un partner industriale solido, meglio ancora un unico soggetto che assommi tutte e due le caratteristiche”, e, più nel dettaglio, “il partner finanziario dovrebbe essere un soggetto che mette soldi freschi, non un protagonista della solita telenovela, il cui sviluppo è schematicamente il seguente: costituzione di una scatola societaria da parte degli acquirenti, indebitamento della stessa verso il sistema bancario, acquisto della compagnia con il denaro così ottenuto, fusione della compagnia con la scatola societaria acquirente: con il che l’indebitamento viene scaricato sulla società acquistata e peserà su di essa come un macigno” mentre “Il partner industriale dovrebbe essere non solo uno del mestiere, ma anche in grado di inserire Alitalia in uno dei grandi network europei”. Le decisioni prese furono però differenti dagli auspici del Prof. Sebastiani e di molti esperti la cui opinione poteva in parte essere riassunta dal fondo dell’Economist dall’emblematico richiamo; «Qual è il prezzo del patriottismo?».
Il 30 luglio 2008 arrivava sul tavolo del CdA della compagnia aerea il piano Fenice proposto da Intesa Sanpaolo consulente incaricata dal governo. Il progetto prevedeva la costituzione di una nuova società, dove far confluire una parte buona della vecchia compagnia; una Good company con 3.250 esuberi nella quale sarebbe confluita anche Ap Holding S.p.A. la società controllante di Air One. La situazione finanziariamente ormai critica veniva intanto sancita dai piani di cassa di luglio che non consentivano al consiglio di amministrazione l’approvazione della semestrale a fine agosto. Il 1º settembre la neonata Compagnia Aerea Italiana, guidata da Roberto Colaninno, recapitava al commissario Augusto Fantozzi un’offerta per l’acquisizione di attività da Alitalia S.p.A. dando inizio a una lunga trattativa tra la CAI, il governo e i sindacati. Il 18 settembre, nonostante l’assenso di CISL, UIL e UGL ma a seguito del rifiuto della CGIL e dei sindacati di piloti e assistenti di volo, l’assemblea dei soci CAI ritirava l’offerta d’acquisto. Solo undici giorni dopo, vista la gravosa situazione, tutte le sigle sindacali di tutti i lavoratori della compagnia decisero di firmare un’intesa per consentire l’ingresso di Cai nella gestione della società. Il 12 dicembre 2008 Compagnia Aerea Italiana S.p.A. sottoscrisse con il commissario straordinario il contratto per l’acquisto degli asset di volo Alitalia – Linee Aeree Italiane S.p.A. al prezzo di 1,052 miliardi, con l’onere di riassumere 12.639 lavoratori della vecchia Alitalia. Il 12 gennaio 2009 Air France-KLM acquistava il 25 per cento del capitale della compagnia per una somma vicina ai 322 milioni di euro. L’accordo fissava in quattro anni il termine del lock-up (una clausola posta sulle azioni che ne impedisce la negoziazione prima di una certa data) per gli azionisti della nuova Alitalia. Il nuovo soggetto così creato risultava drasticamente più piccolo con soli 670 voli a settimana contro i 1050 del 2008 (dati dalla somma di Alitalia e Air One, per una riduzione complessiva del 36%). Le perplessità rispetto a questa soluzione sono ber rappresentate dal pensiero del Prof. Andrea Boitani: “Si può obiettare che, una volta definita l’alleanza con Air France, i clienti della nuova Alitalia potranno beneficiare della vastissima offerta di uno dei maggiori network mondiali (Skyteam). Ma va pur detto che se si fosse accettata l’offerta di Air France-Klm del marzo scorso, il beneficio del network internazionale sarebbe stato identico, mentre Air One sarebbe rimasta indipendente o sarebbe stata acquisita da Lufthansa.” Inoltre l’accordo stipulato appariva mento conveniente sia per l’aumento del numero degli esuberi sia sotto il punto di vista dei costi per lo Stato, come sottolineato da Tito Boeri, in un articolo su La Repubblica dal titolo più che significativo “Un conto da 4 miliardi
. Accordo fatto con Air France”.
Questo il quadro schematico dell’evoluzione del caso Alitalia che oggi, a quattro anni di distanza, torna a contare gravi passivi (circa 630.000 euro al giorno), mostrando, dati alla mano, un perdita in tre anni di 735 milioni di euro, ottenuti in seguito alla ricapitalizzazione del 2009. Che si voglia puntare dunque sull’ingresso di soci strategici stranieri (come auspicato dal Prof. Sebastiani) o ad una maggiore partecipazione pubblica (le Poste sembrano essere la realtà più accreditata da questo punto di vista) non si può prescindere da una seria analisi delle politiche industriali della nostra compagnia. Risolvere, temporaneamente, i problemi finanziari senza un’adeguata pianificazione non condurrebbe infatti a null’altro che ad una nuova dilazione del problema.