Popolo di navigatori ma non su internet
“Chi ci libererà dei Greci e dei Romani?” Per secoli le civiltà europee si sono misurate con questa domanda, impegnate nella disputa sugli antichi e sui moderni. Solo ai nostri giorni la domanda ha avuto una risposta esplicita che può essere riassunta in una parola: tecnologia. Perché fin quando gli uomini viaggiavano in diligenza, pensieri e ragionamenti si muovevano in un contesto in cui la velocità media di spostamento, salvo rare eccezioni, non poteva superare i dieci chilometri l’ora. Con l’avvento della tecnologia il mondo non ha cambiato solo gli strumenti ma i suoi paradigmi, le sue misure, il modo stesso di vedersi e di tracciare il futuro.
Lo scrittore e “futurologo” statunitense Alvin Toffler l’ha chiamata “terza ondata”: la prima è stata quella della scrittura e della stampa che permisero all’uomo di comunicare a distanza. E anche se sono passati molti secoli tra la scrittura (terzo millennio A.C.) e la stampa (XVI secolo D.C.), per Toffler i due mezzi rientrano nello stesso fenomeno sociale perché la stampa rese solo più veloce, economico e meno faticoso quello che prima veniva fatto a mano. La seconda ondata è stata quella dei mezzi di comunicazione di massa, alimentata da scoperte che hanno consentito di inviare contemporaneamente lo stesso messaggio a un numero elevatissimo di destinatari. Tra fine Ottocento e inizio Novecento furono inventati il telegrafo, la radio, il telefono, il cinema, la televisione. La “terza ondata” è quella che stiamo vivendo in questi anni, con l’avvento dei “self-media”, degli strumenti cioè, dove ciascuno diventa il centro di una rete sterminata di nodi di comunicazione. Se i mass media inviavano messaggi alle masse, ma i mittenti erano relativamente pochi, con i self media cambia completamente la prospettiva e la comunicazione diventa “uno a uno”. Anzi torna a essere personale, con la differenza, rispetto al passato, che si può comunicare ovunque e con chiunque, in tempo reale e senza limiti.
Le tre “ondate” teorizzate da Toffler fanno emergere non solo gli impatti che hanno avuto sul modo di vivere ma anche la sproporzione temporale che ne segna l’evoluzione: la prima “ondata” riguarda il 99,8% della storia dell’uomo, la seconda lo 0,19%, la terza, quella cioè che stiamo vivendo, appena lo 0,01%.
Internet, per l’impatto che ha avuto sulla vita di miliardi di persone, è l’icona più rappresentativa dei cambiamenti che riguardano questi anni. Ma è anche più di un simbolo: è la più grandiosa infrastruttura di comunicazione realizzata dall’uomo. Si stima che ci siano oltre 600 miliardi di documenti che popolano la rete, tra quelli immediatamente accessibili e quelli archiviati nello strato sottostante che costituisce il cosiddetto il web profondo (intranet, archivi online, ecc). Un sistema globale di diffusione di informazioni e conoscenze che non ha precedenti. Tutto è cambiato in pochissimo tempo. Ancora negli anni Cinquanta e Sessanta, le teorie economiche si basavano sul capitale “fisico” e la tutela dei mercati interni. La convinzione diffusa era che i Paesi che incoraggiavano gli investimenti in macchinari e mettevano in atto politiche protezionistiche sarebbero riusciti a crescere più rapidamente. Naturalmente, i macchinari e gli impianti continuano ad avere importanza, ma da soli non sono più sufficienti a produrre crescita perché i mercati richiedono prodotti e processi innovativi, costanti e veloci. Gli studi realizzati negli ultimi decenni mostrano, in maniera inequivocabile, che, più che in ogni altra epoca, la conoscenza è diventata strategica; ed è un sapere nuovo, dinamico, in continua evoluzione e trasformazione. Non tutto è positivo, come non tutto è negativo. Ciò che è certo è che i cambiamenti stanno trasformando profondamente il mondo per come lo abbiamo conosciuto e le tecnologie stanno spostando la storia dell’uomo verso una progressione discontinua e veloce, dove lo scarto non è dato solo dall’accesso alle risorse naturali ma anche (e soprattutto) dall’accesso alle nuove tecnologie.
La separazione tra chi usa internet (tra quanti, cioè sono inseriti nella nuova economia della rete) e quanti invece ne sono esclusi costituisce il cosiddetto “ digital divide”. Una barriera che separa – non solo metaforicamente – chi è agganciato al futuro e chi ne è (o rischia) di essere tagliato fuori dalle sue opportunità. Un fenomeno, questo, che si manifesta non solo all’interno dei confini nazionali ma anche tra gli Stati. Ed è ciò che sta accadendo all’Italia, separata da questa barriera invisibile da quei Paesi che sembrano già essere nel futuro, mentre in realtà vivono soltanto le opportunità che offre il presente.
L’Italia è in fondo alla classifica dei Paesi europei per quanto riguarda l’uso di internet. E’ vero che in dieci anni il numero di italiani che navigano in rete tutti i giorni si è più che triplicato, ma è una crescita segnata prevalentemente dal passo generazionale. Nella fascia di popolazione tra i 54 e i 59 anni, la percentuale di quanti non hanno mai usato internet negli ultimi 12 mesi è pari al 54,8%, sale al 69,1% tra i 60-64enni e al 96,7% tra chi ha più di 74 anni. In Italia, la popolazione tra i 16 e 74 anni che si collega a internet almeno una volta a settimana è pari al 51%, in Svezia il 91%, in Germania il 77%, in Francia il 74%, in Spagna il 62%. Il fenomeno è legato a fattori sociali, culturali ed economici, ma anche alla presenza di infrastrutture adeguate. Perché non è vero (e lo sarà sempre meno) ciò che spesso si sente dire sul fatto che il progresso tecnologico renderà indifferente il luogo dove ciascuno vive, lavora e consuma. Perché essere connessi alla banda larga è come abitare a fianco di una stazione della metropolitana: tutto è più raggiungibile e veloce. E persino gli immobili hanno più valore. In Italia, le famiglie che dispongono da casa di un accesso a internet a banda larga sono il 52%, mentre in Svezia toccano l’86% e in Germania il 78%.
Per millenni, abilità, manualità e saggezza sono state trasferite da una generazione all’altra. Oggi il flusso si è invertito e i padri di oggi, a cavallo tra società analogica e digitale, si trovano in una condizione mai verificatasi prima: quella di chiedere ai figli di trasferirgli conoscenze anche sugli strumenti abitualmente usati sul luogo di lavoro. Questa è la conferma che qualcosa di straordinario e senza precedenti sta accadendo. E se non saremo in grado di colmare velocemente il divario che oggi ci separa dei Paesi più avanzati, il futuro dell’Italia rischia di non essere così straordinario come il passato che abbiamo conosciuto.
Questo articolo è stato pubblicato su l’Unità del 30 dicembre 2013. Sfoglia l’indagine Tecnè in pdf