Clima e rinnovabili le prossime sfide
Alcuni sostengono sia ancora insufficiente, ad esempio Legambiente: la soglia al 40% non basta, serve di più. Intanto però l’obiettivo che la Commissione europea ha messo nero su bianco sul Libro Bianco presentato in settimana supera la strategia 20-20-20 (raggiungimento del 20 per cento della produzione energetica dalle fonti rinnovabili, aumento del 20 per cento dell’efficienza e riduzione del 20 per cento delle emissioni di CO2 entro il 2020) entrata in vigore l’anno scorso. Il nuovo pacchetto clima/energia 2030 elaborato dall’esecutivo Ue prevede inoltre un innalzamento della quota di utilizzo di fonti rinnovabili, pari al 27%. L’Unione europea sta vagliando una serie di programmi per lo scopo. Tra questi la produzione di energia rinnovabile dai mari e dagli oceani. “Il piano – spiega la Commissione europea – punta a ridurre la dipendenza dai combustibili fossili e rendere più sicuro l’approvvigionamento energetico dell’Europa mediante la creazione di una fonte stabile di energia rinnovabile nella regione, da integrare con altre fonti rinnovabili quali l’energia eolica e quella solare”. In un primo momento sembrava che la proposta di Bruxelles mirasse al 50% per il taglio delle emissioni di CO2, percentuale non troppo inferiore rispetto alle richieste di Greenpeace: 55% e 45% per le rinnovabili (con un’efficienza energetica pari al 40%). “Il livello di ambizione comunitario degli obiettivi climatici ed energetici – è la posizione espressa da Legambiente – deve essere coerente con la traiettoria di riduzione delle emissioni di gas-serra di almeno il 95% al 2050, in grado di contribuire a contenere il riscaldamento del pianeta almeno sotto alla soglia critica dei 2°C. Abbiamo tutti gli strumenti e ancora tempo per farlo, mentre ci stiamo avventurando verso un surriscaldamento del pianeta di oltre 4°C con scenari apocalittici. Gli scienziati del panel intergovernativo dell’Onu sui cambiamenti climatici avvertono che non è più possibile continuare su questa strada. Per contenere il surriscaldamento sotto i 2°C ed evitare la catastrofe climatica, l’Unione europea deve impegnarsi a ridurre almeno del 55% le emissioni interne entro il 2030 e contemporaneamente impegnarsi a raggiungere il 45% di energia rinnovabile e tagliare il consumo di energia del 40% per portare avanti una reale transizione verso un sistema energetico a zero emissioni di carbonio”.
Attorno alla questione climatica la letteratura è colma di racconti e studi più o meno autorevoli sul mondo che cambia a causa del surriscaldamento globale. Ma accantonati i catastrofismi in stile The Day After Tomorrow i dati restano dati. E quelli contenuti nel rapporto Climate Change 2013: The Physical Science Basis presentato alcuni mesi fa dal Comitato intergovernativo sul cambiamento climatico, istituito dall’Onu, informano che nel 2012 la concentrazione di CO2 nell’atmosfera ha superato i 400 ppm (parti per milione, unità di misura utilizzata per quantificare livelli estremamente bassi di concentrazione di un elemento chimico) mentre, nello stesso arco temporale, rispetto al periodo 1981-2010 la temperatura registrata è stata maggiore di 0,14 o 0,17 gradi.
Altra questione è il ricorso alle energie rinnovabili perché, al di là del contenimento dell’inquinamento, si tratta di un settore strategico. La green economy ha infatti garantito, più che in altri ambiti di sviluppo, prospettive di crescita e opportunità di lavoro. Solo in Italia, per rendere l’idea, dal primo trimestre del 2009 al primo trimestre del 2012, il numero delle aziende attive nel settore delle fonti rinnovabili è cresciuto del 10,2%, attestandosi su 100.289 imprese con 369.231 addetti (dati Confartigianato). Secondo il rapporto GreenItaly 2013 di Unioncamere e Fondazione Symbola nel 2012 la green economy ha prodotto un valore aggiunto di 100,8 miliardi di euro, ovvero il 10,6% dell’economia nazionale. Non solo. A detta di Symbola i green jobs copriranno il 61,2% di tutte le assunzioni destinate alle attività di ricerca e sviluppo delle nostre aziende.
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