Nucleare, nasce Osservatorio per smaltimento rifiuti
Otto impianti da smantellare e circa 55.000 mc di rifiuti radioattivi da trattare e smaltire, oltre a altri 36.000 mc di rifiuti prodotti da impieghi medicali, di ricerca e industriali. I rifiuti nucleari italiani possono ora contare sull’Osservatorio per la Chiusura del Ciclo Nucleare.
Si tratta di un organismo indipendente, presentato oggi, promosso dalla Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile in collaborazione con Sogin, che si propone di contribuire a una corretta informazione su questa tematica ponendosi l’obiettivo di approfondire gli aspetti tecnici e tecnologici, nonché le implicazioni economiche, sociali e ambientali delle attività di bonifica dei siti nucleari e di gestione e messa in sicurezza dei rifiuti radioattivi.L’Italia deve procedere allo smantellamento delle centrali nucleari, degli impianti di produzione del combustibile nucleare e degli impianti di ricerca del ciclo del combustibile nucleare di Trino (VC), Caorso (PC), Latina (LT), Garigliano (CE), Bosco Marengo (AL), Saluggia (VC), Casaccia (RM) e Rotondella (MT), nonché ad avviare le attività di chiusura del ciclo del combustibile nucleare.Queste attività generano circa 55.000 metri cubi di rifiuti radioattivi di cui circa 10.500 ad alta attività e altri 44.500 a media e bassa attività.A questi si aggiungono i rifiuti radioattivi a bassa, media ed alta radioattività generati da attività diagnostiche e terapeutiche di medicina nucleare (provette, flaconi, siringa, guanti, indumenti contaminati, sorgenti per teleterapia etc…), ma anche di macchinari contaminati e dispositivi utilizzati per la ricerca in campo medico e farmacologico, oltre che in specifici settori industriali. Questi in Italia oggi ammontano a circa 15.000 metri cubi, di cui più di 3.000 ad alta attività, a cui se ne aggiungeranno nei prossimi anni circa altri 20.500, di cui oltre 1.500 ad alta attività, con un trend di crescita di 500 metri cubi l’anno., per un totale di oltre 90.000 metri cubi. Attualmente i rifiuti radioattivi sono stoccati in 23 strutture collocate in 11 regioni. Una situazione complessiva che richiede una soluzione allineata ai migliori standard internazionali di sicurezza.Un fenomeno importante che pone con forza il problema di una corretta e sicura esecuzione delle attività di decommissioning e della gestione e smaltimento di questa tipologia di rifiuti. La Direttiva europea 2011/70 Euratom ha imposto ad ogni Stato membro la realizzazione di un deposito che sia in grado di ospitare in sicurezza il combustibile nucleare esaurito e i rifiuti radioattivi anche derivanti dagli impieghi medicali, di ricerca e industriali.Il nostro Paese, con il recepimento di questa direttiva, aveva previsto con decreto legislativo 31/2010 la realizzazione in un Deposito nazionale destinato “all’immagazzinamento, a titolo provvisorio di lunga durata, dei rifiuti ad alta attività e del combustibile irraggiato provenienti dalla pregressa gestione di impianti nucleari e allo smaltimento a titolo definitivo dei rifiuti radioattivi a bassa e media attività, derivanti da attività industriali, di ricerca e medico-sanitarie e dalla pregressa gestione di impianti nucleari”. Il Deposito nazionale dovrà essere collocato all’interno di un Parco tecnologico finalizzato alla ricerca di soluzioni per la definitiva messa in sicurezza di questa tipologia di rifiuti.Un quadro di interventi imponente, non solo perché restituirà definitivamente territorio libero da vincoli radiologici alla collettività e creerà condizioni di maggiore sicurezza rispetto all’attuale situazione, ma anche perché prevede investimenti stimati in circa 2,5 miliardi di euro e tempi di realizzazione di perlomeno 5 anni.Rispetto a questo programma di interventi bisogna ricordare che la direttiva Euratom pone un forte accento sulla trasparenza e impone, fra l’altro, che gli Stati membri assicurino che “la popolazione abbia le necessarie occasioni di effettiva partecipazione ai processi decisionali concernenti la gestione del combustibile esaurito e dei rifiuti radioattivi conformemente alla legislazione nazionale e agli obblighi internazionali”.
“Trovare una soluzione ad una situazione precaria e insicura, come quella in cui si trova la gestione dei rifiuti radioattivi e del combustibile nucleare esaurito, è un atto dovuto”, ha dichiarato Stefano Leoni, Presidente dell’Osservatorio. “È una responsabilità di tutti noi, anche di chi, come me, ha combattuto per la chiusura delle centrali nucleari. È questo lo spirito che guiderà l’attività dell’Osservatorio, non solo per garantire la sicurezza per i prossimi anni, ma anche per le generazioni future. Solo una scelta condivisa e responsabile potrà permettere al nostro Paese di chiudere il ciclo nucleare. Non bisogna inoltre dimenticare che secondo i criteri assunti dall’ONU il decommissioning del nucleare è considerato green economy e per il nostro paese significherebbe un investimento di circa 2,5 miliardi di euro”.
Lo spiega una nota della Fondazione per lo sviluppo sostenibile.