I costi del rischio idrogeologico in Italia
Non è un caso se il premier Matteo Renzi, all’epoca ancora presidente del Consiglio incaricato, ne aveva parlato durante il suo discorso nell’aula del Senato per il voto di fiducia. Il dissesto idrogeologico è infatti uno dei principali problemi del nostro Paese. Moltissimi (6.633, per l’esattezza) sono infatti comuni italiani in cui sono presenti aree a rischio: l’82% del totale. “Una fragilità – ricordava Coldiretti qualche mese fa – che risulta particolarmente elevata in regione come Calabria, Molise, Basilicata, Umbria, Valle d’Aosta e nella Provincia di Trento, dove il 100% dei comuni è classificato a rischio, subito seguito da Marche e Liguria (col 99% dei comuni a rischio) e da Lazio e Toscana (col 98%)”. La superficie complessiva delle aree “ad alta criticità geologica” si estende per ben 29.517 kmq (il 9,8% del territorio nazionale).
Dati in linea con quelli contenuti in un rapporto (DissestoItalia-Salviamo il territorio) di Ance-CRESME, secondo cui sono a rischio idrogeologico l’82% dei comuni italiani, dove vivono oltre 5 milioni e 700 mila cittadini, 6.400 scuole e 550 ospedali.
Mettere in sicurezza il territorio ha però i suoi costi. Per ridurre il rischio idrogeologico è infatti necessario “un investimento di quasi 8 miliardi di euro per 3.383 interventi”, secondo quanto sostenuto dell’Anbi (l’Associazione nazionale bonifiche irrigazioni).
Cambiando il modello di intervento per prevenire il rischio idrogeologico “da ordinario a straordinario”, il governo ha provveduto a stanziare 1 miliardo di euro (delibera del CIPE del 6 novembre 2009), a cui si sono poi aggiunti i fondi del ministero dell’Ambiente e delle regioni per un totale di circa 2,1 miliardi di euro da destinare a 1.675 interventi complessivi. Da notare come i fondi stanziati e gli interventi programmati sono di gran lunga inferiori a quelli stimati come “necessari” dall’Anbi. Il dato negativo è però anche un altro: a febbraio 2014, il 78% degli interventi non ha ancora visto l’apertura dei cantieri.
Le amministrazioni spendono sempre meno, il caso di Roma Capitale
Servono molti soldi, quindi. Eppure, secondo uno studio del CNA di Roma in collaborazione con il CRESME diffuso solo qualche mese fa, negli ultimi dieci anni la spesa pubblica dell’amministrazione capitolina per il decoro urbano è diminuita di molto. E così dal 2003 i fondi destinati alla manutenzione delle strade sono passati dagli 87 milioni di euro del 2002 ai 21 dei primi 8 mesi dello scorso anno (-63%), quelli per il decoro urbano sono scesi del 66,2%. Meglio non va per l’illuminazione pubblica, passata da 43,8 milioni ai 6 milioni di euro, per il verde pubblico (dai 6,4 ai 1,8 milioni di euro) e per l’arredo urbano da 3,3 milioni a 799 mila euro. Scelte forse inevitabili, ma sicuramente discutibili e che hanno forse accentuato i danni causati dal nubifragio del febbraio scorso: 243 milioni di euro, la metà dei quali (113 milioni) legato alla mobilità.