L’impatto economico di una guerra
Il numero è, con ogni probabilità, destinato a salire nelle prossime ore. Ma un primo, parziale, bilancio dell’offensiva israeliana nella Striscia di Gaza conta già 605 morti e 3.700 feriti. Certo, sono cifre diffuse dall’agenzia di stampa palestinese al-Ray, vicina ad Hamas. Ma considerando le stime di Unicef, secondo cui sono 121 i bambini morti a causa dei raid (84 i maschi e 37 le bimbe tra i cinque mesi e i 17 anni; due bambini su tre hanno meno di 12 anni; oltre 900 sono feriti), è probabile che la verità non sia così distante. Le ripercussioni sono pesantissime negli scenari di guerra, al di là delle ragioni – in questo caso ataviche – che favoriscono un conflitto. L’Onu in questo senso ha elencato le priorità. La Striscia di Gaza è un territorio relativamente ristretto e densamente popolato con un numero approssimativo di 4.500 persone per km quadrato, quindi non esiste lì un posto “sicuro”. Sono almeno 500 le case distrutte e “globalmente – ha aggiunto il portavoce dell’Ufficio Onu per gli affari umanitari (Ocha), Jens Laerke –, stimiamo che 1,2 milioni di persone non abbiano accesso all’acqua o solo in modo limitato. Inoltre, abbiamo notizie di inondazioni delle fognature, una minaccia per la salute pubblica”.
Quanto costa una guerra
L’impatto economico è altrettanto rilevante in un contesto del genere. Sempre l’Onu ha quantificato in 60 milioni di dollari gli aiuti necessari, e parliamo esclusivamente di quelli ritenuti “immediati”. I collegamenti da e per Tel Aviv sono stati di fatto bloccati dopo l’esplosione di un razzo a circa un chilometro e mezzo dall’unico aeroporto internazionale di Israele: Air France, Alitalia e Lufthansa e diverse compagnie Usa hanno perciò sospeso i voli, con tutti i disagi del caso per chi viaggia per affari e per il turismo. Nel complesso, secondo Doron Cohen, ex direttore generale delle Finanze intervistato da Haaretz, la guerra nelle sue prime fasi può pesare tra gli otto e i dieci miliardi di shekel (ovvero poco meno di due miliardi di euro), pari allo 0,75-1% del Pil.
La questione energetica
C’è anche la questione energetica a tenere banco. Dopo le divergenze del 2010 (quando Israele praticò un blitz contro una flottiglia di aiuti umanitari turca a Gaza), Tel Aviv e Ankara sono riuscite a ricucire un rapporto fondamentale. La Turchia, infatti, è a detta di molti osservatori internazionali la via più sicura per Israele per esportare il suo gas naturale. Il giacimento Leviathan (620 miliardi di metri cubi di gas naturale, più o meno) rappresenta un punto di svolta per la regione e un’alleanza solida con la Turchia sarebbe l’ideale su questo fronte. Solo che le operazioni militari degli ultimi giorni potrebbero frenare sul nascere qualsiasi tipo di accordo o di trattativa.
Un peso insostenibile
Il peso insostenibile della guerra si riflette ovviamente sui civili – in questo caso per lo più sugli abitanti della Striscia di Gaza – e va oltre le macerie e le successive ricostruzioni. La grande stampa internazionale ha recentemente riferito di “una guerra nascosta” in corso nell’area interessata, quella dei tunnel che collegano Gaza a Israele per cui Hamas sostiene di avere infiltrato molti suoi uomini in territorio nemico. Circostanza che avrebbe spinto il governo di Benjamin Netanyahu a ordinare l’incursione terrestre nelle scorse ore. Ad ogni modo quei tunnel sono stati utilizzati in passato per contrabbandare merci dall’Egitto, bloccarli significherebbe impedire implicitamente ai palestinesi l’accesso a beni di prima necessità altrimenti difficili da reperire.
Le Borse non guardano, per adesso, al Medio Oriente (e nemmeno all’Ucraina)
In compenso per il momento, ma questo è elemento che andrà analizzato nel lungo periodo, i disordini in Medio Oriente (così come quelli in Ucraina) non sembrano condizionare più di tanto l’andamento dei mercati. Che anzi nella giornata di martedì 22 luglio hanno registrato un balzo, trainati soprattutto dalla Cina.
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