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L’Europa e l’incognita Grecia

alexis_tsipras_syrizaUn programma più che ambizioso, date le condizioni economiche in cui versa il paese, che va dalla ristrutturazione del debito agli aiuti alle famiglie più povere: la Grecia che ha votato (quasi) in massa per Syriza di Alexis Tsipras è una Grecia che dopo anni di grossi sacrifici prova a dire “no” alle politiche d’austerità che hanno caratterizzato le decisioni in sede comunitaria negli anni più difficili della crisi economica.
Alla vigilia del voto ellenico, tuttavia, c’era più di una preoccupazione rispetto all’esito delle elezioni. Perché la ristrutturazione del debito che Syriza intende rinegoziare non può escludere – a detta di osservatori e partner europei – la possibilità che la Grecia abbandoni la moneta unica. Circostanza che in verità lo stesso leader del partito di sinistra, Tsipras, ha smentito in più di un’occasione. Ma quale sarà l’atteggiamento di Atene nel caso in cui le trattative non dovessero portare a compimento l’obiettivo tanto sponsorizzato in campagna elettorale?
La Grecia, più di altri paesi nell’eurozona, paga gli errori del passato: dalla crisi cominciata prima che altrove fino ai conti truccati per rientrare nei parametri di Maastricht e per fare il suo ingresso nell’euro, valuta che ha adottato nel 2001. Di fatto il rapporto deficit/PIL non è mai stato sotto il tetto previsto del 3% dal 1999.
Quando nel 2009 le agenzie di rating iniziano a declassare il debito ellenico fino al livello “spazzatura” (con la conseguenza di prestiti a tassi di interesse molto alti a causa del rischio fallimento), sono iniziati i problemi seri per l’economia della Grecia. Un primo pacchetto di aiuti tramite il Fondo monetario internazionale venne rifiutato (anche a causa dell’opposizione dei governi dell’eurozona), salvo poi farne richiesta in seguito e in cifre superiori.
Nel maggio 2010 Ue e Fmi adottano così a favore di Atene un pacchetto da 110 miliardi di euro in tre anni (la cifra complessiva è di 240 miliardi fino ad oggi), a fronte però di un programma lacrime e sangue di tagli alla spesa pubblica e ai salari. Il taglio riguarda anche migliaia di posti di lavoro e la Grecia è ormai un paese messo in ginocchio dalla crisi.
Il problema più grave è l’elevato debito pubblico, di cui il 72% in mano a istituzioni pubbliche (il 60% è dell’Ue attraverso il Fondo di stabilità europeo (EFSF) e il Meccanismo europeo di stabilità (ESM) e il 12% del Fmi; la Banca centrale europea possiede invece l’8%). Il tasso di disoccupazione ha raggiunto livelli record, mentre quello di occupazione è ancora sotto il 50%.
L’arrivo della Troika (Bce, Fmi e Commissione europea) con cui Atene ha concordato il piano di salvataggio si è rivelato inevitabile da un lato e zavorra per la crescita economica dall’altro: nel 2007 il Pil ellenico era cresciuto del 3,5%, più tardi la flessione era stata del 7,1% nel 2011 e del 6% nel 2012. Teoricamente il piano di salvataggio scade a febbraio (non si esclude una proroga di qualche mese), ma una rottura repentina di Atene potrebbe far ricadere il paese ellenico nel baratro – nonostante un lieve miglioramento registrato nell’economia negli ultimi mesi – e da qui la possibilità, a quel punto non più remota, che la Grecia esca dall’euro.
Con 149 seggi ottenuti (due in meno della maggiorana assoluta), Syriza ha dovuto trovare subito un accordo di governo con i Greci indipendenti, formazione di destra con cui condivide tuttavia la visione anti-austerità. Il possibile compromesso con l’Europa può comprendere, almeno all’inizio, la riduzione degli interessi e un ulteriore allungamento delle scadenze. Ma dalla Germania avvertono che Atene non dovrà rinunciare al proprio percorso di riforme strutturali, ora “minacciato” da un cambio di priorità che secondo i piani di Tsipras dovrà privilegiare le classi più deboli.

(articolo pubblicato il 26 gennaio 2015 su Tgcom24)

 

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