Ferro: nel 2014 l’offerta ha superato la domanda
Quello che sta succedendo al mercato del ferro è più o meno paragonabile all’andamento del petrolio, anche se ne parla meno perché non incide in maniera marcata sulle tasche dei cittadini, almeno non quanto il greggio attraverso, per esempio, la spesa per carburanti o energia.
Fatto sta che nel giro di un anno il prezzo del ferro si è più che dimezzato a causa dell’incessante produzione, tanto da far registrare al minerale il peggior andamento del 2014. Rispetto a inizio anno il prezzo del ferro sul mercato cinese, punto di riferimento per la valutazione dell’oscillazione dei prezzi di questa materia prima (in una parola il benchmark) è sceso a 60 dollari a tonnellata a dicembre 2014, registrando così il prezzo più basso dal 2009.
Anche in questo caso il crollo dei prezzi è legato all’elevata produzione, contrapposta ad un a calo della domanda di ferro. Solo nel 2013 il surplus della produzione sulla domanda è stato di 16 milioni di tonnellate.
A differenza del petrolio, però, nel caso di questa materia prima non esiste una sorta di Opec (che è l’Organizzazione dei paesi esportatori di greggio), ma esistono grandi, e singole, compagnie.
Le più importanti sono sostanzialmente tre e controllano circa due terzi del mercato del ferro mondiale: Bhp Billiton, Rio Tinto e Vale. L’altra differenza con il petrolio risiede nel fatto che, non costituendo un “cartello”, quindi non sono previstiti accordi tra i produttori come succede nell’Opec, le tre compagnie stanno estraendo sempre più abbattendo notevolmente i costi di produzione e di conseguenza il prezzo. Il punto in comune con le politiche adottate dall’Opec consiste nel “lasciar fare al mercato” e chi dovrà chiudere i battenti, li chiuderà. Un po’ come sta succedendo negli Stati Uniti alle compagnie di estrazione dello Shale Oil.
La scelta delle tre grandi compagnie del ferro ha cominciato a dare i primi frutti: solo in Cina, che da sola acquista il 67% del ferro esportato nel mondo, secondo le stime di Morgan Stanley, la produzione è scesa di 52 milioni di tonnellate, attestandosi a 345 milioni. Situazione analoga è quella prevista per il 2015. Nell’anno in corso, durante il quale, secondo le previsioni, il prezzo si attesterà in media a 62 dollari a tonnellata, la produzione cinese potrebbe perdere altre 70 milioni di tonnellate costringendo il Paese a incrementare del 7% le proprie importazioni di ferro. Una situazione analoga si sta verificando in Australia dove le compagnie più piccole hanno già cominciato a fare i conti con entrate troppo esigue per i costi troppo elevati.
(articolo pubblicato il 13 febbraio 2015)