Ore decisive per Atene
È il giorno delle scadenze che verranno con ogni probabilità disattese, perché il governo greco non ripagherà al Fondo monetario internazionale (Fmi) la rata da 1,6 miliardi di euro da versare entro la mezzanotte (qualora Atene non accettasse le proposte che stanno giungendo in extremis, il default sarebbe allora inevitabile). Oggi, inoltre, termina il programma di aiuti della Troika. Tutto ciò in attesa del referendum che si terrà domenica in Grecia, di fatto un voto sull’Europa.
Un Sì o un No per esprimere la contrarietà o meno al programma proposto da Bruxelles, che include ulteriori tagli alle pensioni, nuovi obiettivi di avanzo primario, aumento dell’Iva, privatizzazioni e interventi strutturali sul mercato del lavoro. Idee inaccettabili per l’attuale governo, il cui scopo era porre un freno all’austerità, senza per questo abbandonare l’Eurozona.
Gli scenari più probabili – attualmente i sondaggi accreditano soprattutto il Sì, sebbene il governo stia facendo campagna per il No – è la ripresa dei negoziati in caso di esito diverso da quelle che sono le attese dell’esecutivo (e non è esclusa, a quel punto, l’ipotesi dimissioni da parte di Alexis Tsipras). I creditori dovrebbero così sbloccare i 7,2 miliardi previsti dal piano di aiuti da 240 miliardi e gli 11 miliardi nel fondo salva banche. Con la vittoria del No la Bce potrebbe, invece, interrompere il flusso a sostegno di Atene, con ripercussioni pesantissime quali la tanto paventata “Grexit” (pur con tutti gli ostacoli del caso). Una situazione complessa (e allo stesso tempo inedita) per la zona euro, le cui conseguenze sono al momento difficile da prevedere.
In Grecia banche e Borsa sono chiuse nella settimana prima del referendum (le carte di credito e i bancomat emessi da banche con sede all’estero non dovrebbero invece subire le limitazioni imposte in questi giorni) e intanto le Borse europee hanno terminato la giornata di lunedì al ribasso, bruciando 287 miliardi di euro. Da sempre il governatore della Banca centrale europea, Mario Draghi, ha rassicurato che l’istituto di Francoforte possiede “gli strumenti per reagire” ad una crisi di tali proporzioni e la politica dei tassi d’interesse vicini allo zero e l’espansione monetaria (culminata con il Quantitative Easing) dovrebbero fare da scudo in questo senso e i paesi cosiddetti periferici non dovrebbero subire immediate tensioni. Ma nessuno si sbilancia in previsioni più del dovuto, per ora.
Sempre nella giornata di lunedì il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, ha tuttavia chiarito i termini dell’esposizione dell’Italia al debito greco: 10,2 miliardi di prestiti bilaterali e 27,2 miliardi di contributi al fondo salva-Stati, per un totale di 37,2 miliardi di euro.
Negli anni della crisi economica l’austerity è costata alla Grecia una perdita pari al 27% del Pil. E ancora: un milione e mezzo di disoccupati su una popolazione attiva di sei milioni e tasso di disoccupazione dal 12 al 27% in tre anni. Al mese di marzo (dati Eurostat), il tasso di disoccupazione si è attestato in Grecia al 25,6%, a fronte dell’11,1% (a maggio) dell’Eurozona. Negli anni 2008-2013, poi, la produzione industriale ha subìto in maniera costante una contrazione del 30% complessivo.
Un eventuale ritorno alla dracma potrebbe giovare al turismo, che arriverebbe a guadagnare in competitività per via di una riduzione dei costi. Ma in generale la crisi ha provocato un contesto sfavorevole in tutti i settori di attività economica e recuperare terreno per Atene sarà molto difficile, con o senza Grexit.
(articolo pubblicato il 30 giugno 2015 su Tgcom24)