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Ancora in crescita il cuneo fiscale in Italia

lavoro_fabbricaL’Italia, ancora una volta, paga il prezzo di un cuneo fiscale troppo elevato, tanto da occupare i primi posti della classifica pubblicata dall’Ocse nel Taxing Wages 2016. Precisamente il nostro Paese ottiene il quarto posto, a pari merito con Ungheria e dietro solo a Germania, Austria e Ungheria.
Ma cos’è il cuneo fiscale? Sostanzialmente si tratta della somma di tutte le imposte – che siano dirette, indirette o sotto forma di contributi – che, a carico dei dipendenti o dei datori di lavoro, incidono sul costo del lavoro stesso.
Per costo del lavoro si intende, infatti, il costo effettivo del lavoratore, un peso che grava unicamente sull’azienda, il cuneo fiscale invece è quella fetta che, fatto cento il costo del lavoro, va a togliere risorse dal salario finale del dipendente. Tant’è che, se nel nostro Paese – come certificato dall’ultima analisi dell’Ocse – il cuneo fiscale è pari al 49%, in crescita rispetto allo scorso anno, in tasca al dipendente entrerà il 51%.
Come anticipato, secondo le stime dell’Organizzazione per lo sviluppo economico, l’Italia ha il quarto più alto cuneo fiscale sui salari dei lavoratori dell’area dopo la Germania (con il 49,4%), l’Austria (con il 49,5%) e il Belgio (in testa alla graduatoria con il 55,3%). Insieme all’Italia sono altri 34 i Paesi dell’Ocse che hanno riportato un aumento del cuneo, mentre in otto è diminuito e rimasto stabile nella media dell’area, al 35,9%.
Per quanto riguarda invece il cuneo fiscale sui salari delle famiglie e dei lavoratori non sposati l’Ocse indica un 39,9% per le prime, in crescita dello 0,93% rispetto al 2014, e un 49% per il cuneo fiscale dei lavoratori non sposati, in crescita dello 0,76%.
Stiamo parlando di quote fin troppo elevate, eppure sono ormai chiari i vantaggi che avrebbe un riduzione delle tasse sul lavoro: tasse troppo incidenti, infatti, limitano il potere d’acquisto delle famiglie e quindi i consumi. Con consumi bassi, inevitabilmente le imprese vendono meno e sono quindi costretti a mettere a freno la produzione, limando i costi e quindi anche il numero degli occupati.

 

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