Kobe, lo sport ringrazia. Anche noi
È come se le cose belle siano sempre destinate a finire troppo presto. E sempre, quando succede, ci si convince che sia impossibile che possa ripetersi una storia simile, con la stessa intensità e con lo stesso enorme impatto sulla vita delle persone. Eppure si parla “solo” di sport.
Ma quando uno di quei miti palpabili nell’era delle “distanze ridotte” – perché altro non sono – riesce a farci evadere dalla quotidianità, facendo il più delle volte dimenticare le problematiche della vita, è difficile pensare che si tratti semplicemente di una mera attività fisica. D’altronde questo è lo sport ed è proprio la sua bellezza e la sua capacità di coinvolgere tutti, o molti di noi, che fa sì che la storia si ripeta ogni volta che uno di questi eroi decide di appendere l’armatura al muro. Eppure, se ci si pensa, è così strano che quella nostalgia e quel senso di vuoto riescano anche solo a coinvolgerci in minima parte se uno sconosciuto – di cui non sappiamo quasi nulla se non quello che si trova in rete –, che vive dall’altra parte dell’oceano, decide di lasciare ciò per cui è nato.
Ecco, Kobe Bryant – giocando questa notte la sua ultima partita nel basket professionistico – ci ha fatto vivere quella nostalgia. Un sentimento già vissuto, quando decise di lasciare la più grande icona di questo sport. Non serve nemmeno scomodarlo, nominandolo.
Uno di quei personaggi che sei automaticamente convinto che non ricapiteranno mai più e che ti fanno rendere conto di quanto tu sia stato fortunato a vederlo giocare, anche solo in tv, a chilometri di distanza da quel parquet. E noi siamo stati fortunati. Nel giro di vent’anni abbiamo visto crescere uno sport insieme a lui. Ha fatto parte di una di quelle ere sportive che, a conti fatti, vengono poi definite “golden age” . E lui nella golden age del basket c’è entrato, subentrando proprio a quell’icona innominabile, dimostrando che forse, qualche volta, la storia si ripete.
I risultati, 23 assoluti e 16 con la casacca giallo-viola, parlano chiaro. È stato il miglior realizzatore della storia degli All Star Game e miglior realizzatore di sempre con la divisa dei Los Angeles Lakers, l’unica squadra della NBA con la quale è sceso in campo (per 20 anni) dopo la parentesi italiana.
Record che ha continuato a macinare anche in occasione dell’addio, stanotte (13 aprile 2016), contro Utah, realizzando – per la prima volta nella storia della NBA – 60 punti: mai successo durante l’ultima partita di un cestista. Insomma un addio in grande stile, come ci si aspettava dal Black Mamba. Ed è già nostalgia.