Perché la Fed resta prudente?
Osservare le ultime decisioni prese dalla Fed – la banca centrale statunitense – aiuta a comprendere meglio l’andamento dell’economia globale. La Fed, infatti, ha lasciato i tassi invariati allo 0,25-0,50% nonostante un miglioramento complessivo dell’economia americana (la crescita è rallentata nei primi mesi dell’anno, ma il tasso di disoccupazione e quello d’inflazione si mantengono su livelli positivi). A preoccupare, piuttosto, è la debolezza della domanda mondiale.
Rafforzare il dollaro non sembra al momento una mossa conveniente per la Fed. Non ne gioverebbero le esportazioni soprattutto, e comunque un rialzo della valuta avrebbe ripercussioni sui mercati emergenti – molti dei quali in una fase di forte rallentamento – che dipendono non poco dai rapporti commerciali con gli Stati Uniti.
Negli ultimi mesi il commercio mondiale è apparso in affanno rispetto al recente passato e non a caso le altre banche centrali – ad esempio la Bce, ma anche la BoJ, la Banca del Giappone – stanno adottando misure espansive al fine di contenere le difficoltà del momento. Una misura in direzione del tutto contraria della Fed, insomma, non esclude l’ipotesi di turbolenze che andrebbero a complicare maggiormente la situazione.
Si ritiene che la Fed possa decidere per un rialzo dei tassi a giugno, ma permangono dei dubbi. Il primo è interno: in pratica nel pieno dell’avvio della campagna presidenziale sono in pochi a scommettere sul cambio di marcia. Il secondo è legato al referendum sulla Brexit, il cui esito – in caso di uscita del Regno Unito dall’Unione europea – potrebbe stravolgere i rapporti commerciali.
Sono tante le ragioni che sostengono la permanenza del Regno Unito nell’Ue. Uno studio del Tesoro britannico ha stimato un’ingente perdita in termini economici nell’ipotesi Brexit, ora anche l’Ocse conferma che per i cittadini equivarrebbe a “una tassa”. Un motivo in più che sembra spingere la Fed a restare cauta.