L’impatto dell’economia circolare
Sempre più spesso, nel corso dei vertici delle varie organizzazioni mondiali ed istituzioni, ci si sofferma sul tema dell’impatto ambientale e di come sia necessario vertere su modi diversi di fare economia, contribuendo alla riduzione dell’inquinamento e allo stesso tempo garantire maggiore competitività alle imprese.
Uno dei punti cruciali della questione è dare nuova vita ai rifiuti, tentando di diffondere, e quindi di mettere in pratica, il concetto di “economia circolare”. Proprio in questi giorni è in corso a Roma la III Conferenza nazionale dei rifiuti, organizzata da Legambiente.
Secondo l’associazione ambientalista – al netto dei posti persi in seguito al superamento del modello produttivo tipico dell’economia lineare (materia prima – processi produttivi – rifiuto) – l’economia circolare potrebbe generare, solo in Italia, quasi 200 mila posti di lavoro. A livello europeo, semplicemente se venissero applicate regolarmente le norme sui rifiuti ad oggi vigenti, le stime indicano 400 mila nuovi posti di lavoro con ulteriori 180 mila posti con l’applicazione del “pacchetto economia circolare” della Commissione europea del luglio del 2014.
Ad oggi, l’Unione europea (si legge sul resoconto della Commissione) perde circa 600 milioni di tonnellate l’anno di materiali contenuti nei rifiuti che potenzialmente potrebbero essere riutilizzati. Solo il 40% dei rifiuti generati dalle famiglie viene riciclato correttamente, con picchi negativi del 5% in alcune aree dell’Ue. Considerando solamente la plastica, dai dati della Commissione europea emerge che meno del 25% dei rifiuti plastici viene riciclato correttamente a fronte di un 50% che finisce in discarica.
La produzione ecocompatibile, atta a prediligere il riutilizzo, che è alla base dell’economia circolare, consentirebbe alle imprese europee di risparmiare circa 600 miliardi di euro l’anno, ovvero l’8% del fatturato totale.