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L’evoluzione del calcio in Cina

Intervista a Giorgio Cuscito, consigliere redazionale di Limes, analista e studioso di geopolitica cinese
di Mirko Spadoni

Xi Jinping elected General Secretary of the Communist Party of ChinaNell’agenda politica del presidente della Repubblica popolare cinese, Xi Jinping, niente è lasciato al caso. Ogni cosa ha una logica, anche il “piano di sviluppo di medio e lungo termine del calcio cinese” presentato nel marzo del 2015. Secondo i programmi del partito comunista cinese, entro il 2020 cinquanta milioni di cinesi – dieci milioni in meno rispetto all’intera popolazione italiana, tanto per farsi un’idea – dovranno giocare a calcio, imparandone i fondamentali nelle 20mila scuole calcio che saranno aperte nei prossimi anni. I terreni da gioco non dovrebbero mancare: Pechino ha disposto la costruzione di un campo ogni 10mila abitanti entro il 2030. Ma la passione del presidente Xi per il calcio c’entra poco. “I motivi sono tre”, spiega a T-Mag Giorgio Cuscito, consigliere redazionale di Limes, la rivista geopolitica italiana, e studioso di geopolitica cinese. “Il primo motivo è prettamente economico: i cinesi stanno cercando di diversificare le loro attività e così imprese come Alibaba investono nel calcio, cercando di ottenere dei guadagni e un ritorno di immagine positivo”. “Il secondo motivo è relativo all’unità nazionale. Mi spiego meglio: la Cina primeggia soprattutto in sport individuali. Il calcio può essere invece quello sport collettivo in grado di unire il Paese. Specialmente in un momento di transizione delicato come quello attuale. Pechino sta affrontando una fase di trasformazione sociale ed economica, nel tentativo di diminuire la dipendenza dell’economia cinese dall’export e puntando sulla crescita dei consumi interni. Tutto questo rischia di generare instabilità e il calcio può essere un utile valvola di sfogo e di coesione nazionale. Il terzo ed ultimo motivo? Il soft power. Il calcio potrebbe offrire alla Cina un modo per migliorare la propria immagine all’estero. Il presidente Xi ha fissato tre obiettivi: qualificarsi ai prossimi mondiali, ospitarne un’edizione e poi vincerne una”. Quest’ultimo obiettivo in particolare è apparentemente impossibile, almeno considerando il curriculum della rappresentativa cinese – la Cina vanta un’unica partecipazione alla coppa del mondo, nel 2002, quando il mondiale fu organizzato dai vicini della Corea del Sud – e le sue attuali potenzialità: la Cina occupa l’81esimo posto del ranking FIFA, che classifica le nazionali migliori al mondo. C’è chi comunque crede nell’impresa: l’ex commissario tecnico dell’Inghilterra e attuale allenatore dello Shanghai Sipg, Sven Goran Eriksson, si è detto convinto “che tra 10 o 15 anni la Cina lotterà per vincere il mondiale”. Vedremo.
Ad oggi, tra i target posti dal partito comunista cinese, uno è sicuramente alla portata del Paese asiatico: conquistare la possibilità di ospitare la coppa del mondo. Tuttavia Pechino dovrà comunque attendere qualche anno – la prima edizione disponibile è quella del 2026 –, ma sicuramente vale la pena aspettare: “Ospitare il torneo offre l’opportunità di attirare l’attenzione dell’intero pianeta, mentre un successo sportivo dimostra che il Paese è fisicamente sano e competitivo”, osserva Cuscito.
Ma Pechino vuole alzare il livello del campionato professionistico più importante del Paese, la Chinese Super League (CLS), al punto tale da renderlo uno dei tornei più prestigiosi al mondo. Il percorso è appena iniziato – il campionato cinese è diventato una lega professionistica soltanto nel 1994 e la CLS è stata fondata nel 2004 –, ma la Cina potrebbe colmare il gap con i campionati più blasonati nell’arco di poco tempo. La forza economica è dalla sua parte. Nell’ultima sessione di mercato, secondo i dati riportati da transfermarkt.com, le società della CLS hanno investito oltre 338,8 milioni di euro. Un’enormità. Le rose delle squadre cinesi si sono così arricchite di calciatori europei, sudamericani e africani (Alex Texeira, Gervinho e Ezequiel Lavezzi…), che hanno contribuito a rendere più appetibile lo spettacolo.
“L’interesse è sicuramente aumentato”, ammette Cuscito. “Sempre più gente va allo stadio, attirata anche da un numero crescente di giocatori provenienti dai campionati europei e sudamericani. Tuttavia, a quanto vedo e a quanto sento, i cinesi non sono disposti a pagare per vedere le partite e questo rappresenta un problema per i club, costretti a contare su introiti meno consistenti da quelli garantiti dalla vendita dei diritti televisivi. Mi riferisco naturalmente al merchandising”. Acquistando dalla Tiao Dongli per 420 milioni di dollari i diritti televisivi per le prossime cinque stagioni, la Le Sports, azienda cinese leader per la trasmissione di incontri sportivi su Internet, ha dimostrato di credere nelle potenzialità del calcio cinese. Lo stesso vale (forse) anche per le grandi imprese cinesi che stanno investendo nelle 16 squadre che militano nella CLS. Sono aziende perlopiù attive nel settore immobiliare – il Guangzhou R&F Properties, gruppo attivo nel settore della promozione dello sviluppo immobiliare, è proprietario del Guangzhou R&F Football club –, ma anche nel comparto energetico – la Shandong Luneng Group, una delle controllate della società statale State Grind Corporation of China, possiede lo Shandong Luneng Taishan FC – , dei trasporti – la Shanghai International Port (Group) Company, l’azienda che controlla il porto di Shanghai, è proprietaria dello Shangai SIPG FC – e nel commercio on-line: nel giugno del 2014, Alibaba si è assicurata il 50% del Guangzhou Evergrande per 140 milioni di euro. Guanzgzhou Evergrande che ha aperto la più grande scuola calcio del pianeta. Con un investimento di 185 milioni di euro, la società cinese ha costruito un centro sportivo dotato di 50 terreni da gioco. Un numero di campi sufficiente per far allenare, sotto gli occhi degli allenatori provenienti dal settore giovanile del Real Madrid, 2.800 giovani calciatori, ognuno dei quali dovrà contribuire allo sviluppo del calcio cinese. Un obiettivo che gli viene ricordato costantemente: “Diventare una star del football è il nostro obiettivo permanente” e “sviluppare il calcio è il nostro scopo perpetuo”, ripetono dopo aver cantato l’inno nazionale, durante una ‘cerimonia’ che si svolge all’inizio di ogni settimana, nella scuola calcio più grande del mondo.

 

1 Commento per “L’evoluzione del calcio in Cina”

  1. […] Qui il link all’originale: http://www.t-mag.it/2016/06/24/levoluzione-del-calcio-in-cina/  […]

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