Usa 2016. Tim Kaine, il rassicurante vice di Hillary
Vice sarebbe potuto esserlo già nel 2008. Se non che Obama scelse Biden, ritenuto all’epoca il migliore candidato possibile. Joe Biden, infatti, venne ritenuto l’uomo d’esperienza – specie in politica estera – in grado di rassicurare gli elettori sulle eventuali lacune del giovane pretendente alla Casa Bianca. Obama informò della decisione Tim Kaine, allora governatore della Virginia, e lo ringraziò per la disponibilità. Altrettanto fece con Evan Bayh, senatore dell’Indiana. Otto anni dopo Tim Kaine è di nuovo in pista, stavolta in veste ufficiale di running mate di Hillary Clinton. Nel 2008, per ironia della sorte, il suo avversario repubblicano sarebbe potuto essere un deputato della Virginia, Eric Cantor, ma alla fine McCain scelse Sarah Palin.
Scegliere il candidato vicepresidente è operazione fondamentale, può determinare persino l’esito della campagna elettorale. McCain organizzò il ticket con Palin per avvicinare quegli ambienti altrimenti a lui distanti, ma la scommessa non fu delle più fortunate. Di solito il ruolo di vicepresidente viene affidato ad una persona che può indirizzare la porzione di elettorato diffidente dalla propria parte, in una parola: rassicurare. Biden doveva colmare l’inesperienza di Obama, Mike Pence dovrà portare equilibrio nella campagna di Donald Trump e Tim Kaine è la carta migliore che si poteva estrarre dal mazzo, molto più al cospetto di presunte spy story in salsa russa, mailgate e hackeraggi di varia natura. Ma – soprattutto – è il profilo che maggiormente si allinea alle posizioni dell’ex segretario di Stato nella prima amministrazione Obama, la quale ricordiamo ha avuto a che fare con un certo Bernie Sanders durante le primarie del Partito democratico. Con buona pace, insomma, di chi fino all’ultimo ha sperato in una candidatura alla vicepresidenza orientata a sinistra: Elizabeth Warren, se non lo stesso Sanders.
TIM KAINE IN PILLOLE
Tim Kaine è un moderato (un centrista potremmo definirlo), cattolico, studi dai gesuiti. Parla fluentemente lo spagnolo e già alle prime uscite pubbliche con Hillary Clinton ha dato sfoggio delle sue capacità linguistiche, vedremo se sarà in grado di avvicinare l’elettorato ispanico all’ex First Lady. Otto anni fa sostenne Obama, ma oggi si dice onorato – cos’altro potrebbe dire? – di correre al fianco di Hillary. Sposato, tre figli, laureato ad Harvard nonostante le umili origini, Tim Kaine è nato nel Minnesota nel 1958, ma la sua storia politica è strettamente legata alla Virginia. Fu eletto sindaco di Richmond, capitale dello Stato, nel 1998. Nel 2002 era vicegovernatore, nel 2006 il salto a governatore. Attualmente senatore della Virginia, ha ricoperto ruoli importanti nel partito: dal 2009 al 2011 è stato presidente del Comitato nazionale democratico. Da bravo cattolico – ed è stata, questa, una delle sue principali battaglie da governatore – è contrarissimo alla pena di morte. Nel 2009, in un giorno di dicembre, Obama chiamò in diretta la radio locale Wtop presentandosi come Barry da Washington (Barry era il diminutivo del presidente da ragazzo, mentre Kaine teneva un programma alla mattina) e per l’occasione si complimentò per il lavoro svolto in Virginia.
I’M WITH HER
In verità, al di là cioè del sostegno a Obama nel 2008, sono tante le istanze che sembrano accomunare Tim Kaine e Hillary Clinton. Su una questione in particolare, però, il senatore della Virginia potrà rivelarsi un formidabile alleato. Anche Kaine, come Clinton, è convinto della necessità di una stretta sulle armi da fuoco. Le recenti stragi che si sono consumate sul suolo americano non devono ripetersi e, secondo il ticket presidenziale, l’unica strada percorribile per far sì che ciò accada è mettere un freno alla vendita e alla circolazione. Kaine qualcosa sperimentò quando era sindaco di Richmond. La capitale della Virginia, infatti, è il laboratorio del Progetto Exile che, secondo le direttive del Gun Control Act del 1968, prevede pene più severe (applicate da un tribunale federale) per chi detiene illegalmente un’arma da fuoco. La misura si rese opportuna perché proprio a Richmond si contavano numerosi omicidi, il cui tasso scese progressivamente nel tempo. Altre realtà statunitensi hanno in seguito adottato provvedimenti simili, seppure con nomi o titoli diversi. Il successo della misura divenne spot per le successive campagne di Kaine. Questo per sottolineare che, in ogni caso, Hillary Clinton non sarà sola nella dura battaglia politica.
IL TICKET CLINTON-KAINE
In Kaine, Hillary Clinton troverà una spalla sicura. Cosa che non sarebbe stata affatto garantita da un ipotetico quanto improbabile ticket con Bernie Sanders. Certo, la scelta di Kaine – circostanza emersa in occasione della convention di Philadelphia, buon senso di Sanders a parte – potrebbe allontanare i sostenitori più intransigenti del senatore del Vermont. Ma in compenso potrebbe intercettare il voto dei moderati, tra le file repubblicane, delusi dalla candidatura di Donald Trump. Kaine, proprio come Hillary Clinton, è fautore degli accordi di libero scambio, quegli stessi accordi che il tycoon di New York si dice pronto a stracciare una volta varcata la soglia della Casa Bianca. In sostanza è un candidato vicepresidente che non darà del filo da torcere alla sua possibile superiore, che anzi favorirà la politica della continuità – dall’economia alle questioni sociali o temi sensibili – con l’amministrazione Obama. Sarebbe un errore, tuttavia, ritenerlo un candidato debole. Potrà ad esempio dispensare consigli utili per la costruzione di un’America post-razziale, provenendo da uno Stato del Sud con un’alta percentuale di cittadini afroamericani. E anche in politica estera potrà dire la sua, lui che non è contrario all’interventismo se viene tirata in ballo la sicurezza nazionale e quella degli alleati (alla stregua di Hillary Clinton). È stato, inoltre, uno dei più convinti difensori dell’accordo sul nucleare voluto da Obama con l’Iran. Hillary Clinton dovrà ricucire i rapporti con Israele dopo le recenti divergenze, in questo senso Kaine fu tra i primi ad annunciare la decisione di boicottare il discorso di Netanyahu al Congresso nel marzo 2015. Ma resta pur sempre un fautore di lunga data delle relazioni Usa-Israele: prevarrà, con ogni probabilità, la realpolitik.
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