Lo sport nella Russia di Putin
29 agosto 2016. Base militare di Hmeimim, Siria.
Questo non è un luogo come un altro, nel caos siriano. Da qui — ci troviamo nella Siria nord-occidentale, nei pressi di Latakia — , il Cremlino difende i suoi interessi geopolitici e il suo alleato, il presidente siriano Bashar al Assad, prendendo parte a una guerra iniziata oltre cinque anni fa. Lo fa lanciando attacchi aerei contro “i terroristi”, un termine con il quale Mosca indica uno schieramento piuttosto variegato, ma che praticamente include i principali nemici di Damasco, dai ribelli cosiddetti “moderati” alle formazioni jihadiste.
Sono gli ultimi giorni d’agosto e il presidente russo Vladimir Putin decide di concedere ai suoi militari la possibilità di passare del tempo con Serghiei Kamenski, argento nel tiro a segno ai Giochi di Rio de Janeiro terminati solo qualche giorno prima, e altri cinque atleti vincitori di una medaglia d’oro: gli schermitori Sofia Velikaia, Arthur Ahmathuzin, Timur Safin, Alexei Cheremisinov e il campione di lotta libera Soslan Ramonov. Alla visita prende parte anche Yelena Isinbayeva, probabilmente l’atleta più conosciuto tra i sei spediti dal Cremlino in Siria. Trentaquattro anni, Isinbayeva ha stabilito 28 primati mondiali nel salto con l’asta e ha vinto tutto quello che c’era da vincere (Olimpiadi, mondiali, europei…) ma non ha potuto prendere parte ai Giochi di Rio: il suo coinvolgimento nello scandalo doping di Stato le è costato la partecipazione.
La visita degli atleti non è un intermezzo — le operazioni militari non vengono sospese: “Ogni volta che un caccia decollava era come la ninnananna che stavamo aspettando per metterci a dormire”, racconterà Isinbayeva — e soprattutto non è fine a se stessa. “Dal Cremlino si vede lo sport come un veicolo per rinsaldare anche i sentimenti nazionali (non nazionalistici, s’intende) e compattare appunto la Nazione (e l’elettorato) dietro ai successi dello sport”, mi spiega il giornalista Stefano Grazioli, autore di diversi libri sulla Russia di Putin. “Non è un caso che molti campioni in campo siano stati reclutati poi a fine carriera nelle fila di Russia Unita, il partito che fa capo al presidente: dalla ginnasta Alina Kabaeva al pugile Nikolai Valuev passando per l’hockeysta Vyacheslav Fetisov, finito anche fare il ministro dello Sport, prima dell’attuale Vitaly Mutko”.
23 febbraio 2014. Sochi, Russia.
Il presidente della Federazione russa, Vladimir Putin, è visibilmente soddisfatto e ha tutte le ragioni per esserlo. Quella che si sta svolgendo davanti ai suoi occhi è la cerimonia di chiusura delle Olimpiadi invernali di Sochi — nel video, Putin fa il suo ingresso al minuto 53:48 — , una manifestazione voluta fortemente dal leader del Cremlino e che si è conclusa senza intoppi, nonostante le premesse. La perfetta riuscita dell’evento non era affatto scontata. Per la location, innanzitutto. Sochi non è proprio il luogo ideale per organizzare dei Giochi invernali tanto per il clima (mite) quanto per la sicurezza: siamo nel Caucaso, una delle regioni più instabili dell’immensa Federazione russa a causa dei fondamentalisti islamici. Il leader dei separatisti ceceni, l’autoproclamatosi “emiro del Caucaso” Doku Umarov, aveva invitato i suoi seguaci ad organizzare degli attentati, in occasione dell’evento: “Sulle ossa dei nostri avi, di molti musulmani che sono morti e sepolti sul nostro territorio lungo le coste del Mar Nero si apprestano ad andare in scena i Giochi olimpici. E noi come mujaheddin non dobbiamo permettere che ciò possa accadere”, aveva detto nel luglio del 2013. Tuttavia, durante le Olimpiadi, Umarov forse aveva già smesso di essere una minaccia: ad aprile 2014 i Servizi federali per la sicurezza della Federazione russa (FSB) hanno comunicato che “l’emiro del Caucaso” era stato “neutralizzato” durante “un’operazione speciale” nel primo trimestre.
Per organizzare i Giochi, il Cremlino non ha badato a spese: secondo una stima riferita da Dmitry Kozak, il vice premier a capo del comitato organizzatore, e circolata molto sulla stampa internazionale, le Olimpiadi di Sochi sarebbero costate 51 miliardi di dollari. Nessuno ha mai speso così tanto neanche per organizzare le Olimpiadi estive, durante le quali vengono disputate un maggior numero di gare rispetto a quelle invernali. La cifra è esorbitante, anche se il Washington Post ha sollevato qualche dubbio sull’effettiva esattezza del conto, sottolineando che potrebbe essere stato gonfiato anche dalla corruzione.
“La Russia è un Paese ospitale. Ricco di storia, tradizioni e cultura, da mettere in mostra e condividere”, osserva Grazioli. “La Russia è però anche un Paese molto corrotto (al 119esimo posto al mondo, secondo la classifica di Transparency International) e i grandi eventi hanno portato e portano, come quasi ovunque, corruzione. E qualche malumore. Non sono insomma le Olimpiadi e i Mondiali ad essere contestati in sé, ma gli effetti collaterali”.
Il Cremlino non sembra curarsene, però: Putin si è assicurato la possibilità di ospitare tutti gli eventi sportivi più importanti degli ultimi anni. Ha iniziato con le Universiadi e i Mondiali di atletica nel 2013, proseguito con le Olimpiadi invernali e il Gran premio di Formula 1 a Sochi, i Mondiali di nuoto nel 2015 e di hockey nel 2016, per finire in bellezza con la coppa del mondo di calcio nel 2018.
2 dicembre 2010. Zurigo, Svizzera.
Un annuncio tanto importante non poteva essere dato da un’altra persona. Sepp Blatter è (ancora) il presidente della FIFA — le indagini dell’FBI che porteranno alla sua caduta arriveranno qualche anno dopo, nel 2015 — e lui soltanto può dire ai giornalisti cosa ha appena deciso il comitato esecutivo della Federazione che governa il calcio mondiale. La coppa del mondo del 2018 verrà ospitata dalla Russia e quella del 2022 dal Qatar, annuncia ai presenti. Due scelte che sicuramente scontentano le candidate rivali: Mosca è stata preferita all’Inghilterra e ai due tandem Olanda-Belgio e Spagna-Portogallo, mentre il piccolo Paese arabo ha battuto Australia, Giappone, Corea del Sud e Stati Uniti. C’è chi solleva qualche dubbio — il Sunday Times scriverà che l’assegnazione dell’edizione del 2022 è stata condizionata da pressioni esterne — , ma nel novembre 2014, sulla base di un’indagine interna condotta da Michael Garcia, la Commissione etica della FIFA smentirà poi tali accuse, spiegando che i Paesi candidati hanno “giocato sporco” ma non da “arrivare a un punto tale per richiedere una riapertura del processo di assegnazione”.
Per Putin, il Mondiale del 2018 rappresenta un tassello importante di un progetto ad ampio respiro: “Lo sport in Russia, e ancor prima in Unione Sovietica, ha avuto grande importanza non solo nella società, ma anche per la politica”, dice Grazioli. “Dopo il crollo dell’URSS, durante il decennio con Boris Eltsin al Cremlino, lo sport russo, abbandonato un po’ a se stesso anche per questioni finanziarie, ha cominciato a declinare. L’arrivo di Putin alla presidenza ha cambiato in parte le cose, partendo dalla volontà di ripristinare i fasti di un tempo”.
Ospitare un Mondiale non è una cosa da poco, però: occorre una grande capacità organizzativa e soprattutto servono molti soldi. Nel 2010 Mosca aveva annunciato l’intenzione di investire 19 miliardi di dollari, ricorda Forbes. Ma il budget iniziale è stato via via ridimensionato: le tensioni geopolitiche e il crollo del prezzo del petrolio hanno tolto alla Russia importanti risorse economiche, del resto. Nei mesi scorsi il governo ha approvato un ulteriore taglio di circa 80 milioni di dollari, riducendo i fondi destinati alla manifestazione a circa 8,15 miliardi. Rispetto ai programmi iniziali la Russia ha rinunciato, ad esempio, alla costruzione di 25 resort e al centro per le trasmissioni televisive di Mosca, dando la priorità alle infrastrutture necessarie per lo svolgimento della manifestazione (stadi, aeroporti moderni, linee ferroviarie ad alta velocità, autostrade…).
Oltre a quello di immagine, i russi sperano naturalmente in un ritorno economico: l’Associazione russa dei tour-operator (ATOR) prevede che la Russia ospiterà oltre un milione di tifosi stranieri, per un incasso complessivo di un miliardo di euro. Si tratta di una stima, naturalmente. Per centrarla, Putin ha voluto rendere più agevole l’ingresso nel Paese: nei mesi scorsi, il leader del Cremlino ha firmato una legge federale che consentirà ai tifosi, che vogliono seguire la coppa del mondo e la Confederations Cup, di entrare in Russia esibendo solo uno speciale “passaporto del tifoso” e non il tradizionale visto. Secondo l’ATOR, i tifosi spenderanno tra i 1.000 e i 1.500 dollari ciascuno. Tuttavia al momento l’unica cosa certa è il costo dei biglietti delle partite, sicuramente più vantaggioso per i cittadini russi: ad esempio, il biglietto più economico per un incontro della fase a gironi costerà ai tifosi stranieri 105 dollari contro i venti che dovranno pagare i padroni di casa.