La fragilità del territorio italiano
Si ritiene che l’evento sismico dell’altro giorno che ha colpito la provincia di Macerata, nelle Marche (a Visso, Camerino e Ussita i maggiori disagi, nel complesso circa cinquemila persone sfollate nelle zone interessate), potrebbe essere collegato a quello del 24 agosto che ha letteralmente raso al suolo Amatrice e Arquata del Tronto, tramite la formazione di una nuova faglia. L’INGV, l’Istituto nazionale di Geofisica e Vulcanologia, che monitora la Rete Sismica Nazionale (qui la lista dei terremoti visualizzati in tempo reale), ha infatti spiegato: il 26 ottobre «si sono verificate due forti scosse nell’area interessata dalla sequenza sismica iniziata il 24 agosto scorso. La prima, magnitudo Richter ML 5.4, è avvenuta alle 19.10 ore italiane, la seconda, magnitudo Richter ML 5.9, è stata localizzata alle 21.18 ora italiana. Le scosse sono state localizzate nella zona al confine tra Marche e Umbria, a nord dell’area attivata il 24 agosto. I due epicentri sono ubicati tra le province di Macerata, Perugia e Ascoli Piceno».
Già il 16 ottobre si era verificato un terremoto di magnitudo 4.1 con epicentro tra Norcia e Accumoli, avvertito fino a Rieti. Così l’INGV il 19 ottobre: «La sequenza sismica in Italia centrale, iniziata con l’evento di magnitudo Mw 6.0 del 24 agosto alle ore 03:36, è ancora in pieno svolgimento, pur con un numero minore di repliche (aftershocks) rispetto alle prime settimane. Al momento la Rete Sismica Nazionale dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia ha localizzato complessivamente oltre 16.800 eventi, in un’area che si estende per circa 40 chilometri in direzione NNO-SSE lungo la catena appenninica: sono 15 i terremoti localizzati di magnitudo compresa tra 4 e 5; 250 quelli di magnitudo compresa tra 3 e 4, e uno di magnitudo maggiore di 5, oltre naturalmente a quello principale di magnitudo 6.0 del 24 agosto. L’ultimo evento di magnitudo uguale o maggiore di 4.0 si è verificato domenica mattina, 16 ottobre, alle ore 11:32 (magnitudo ML 4.1) con epicentro in provincia di Perugia, a 8 chilometri da Norcia, dopo circa 40 giorni dagli ultimi eventi che avevano superato magnitudo 4 (quelli del 3 settembre alle ore 03:34 e 12:18)».
PARTCOLARMENTE ESPOSTI AL RISCHIO
L’attività sismica è frequente e non si è ancora arrestata dal 24 agosto. Lo sciame può durare diversi mesi, come accadde proprio in Umbria e nelle Marche nel ’97-’98 e ancora a L’Aquila nel 2009. Sappiamo che i terremoti non si possono prevedere, ma sappiamo anche che il territorio italiano è particolarmente esposto al rischio naturale. Il Rapporto Ance-Cresme – Lo stato del territorio italiano 2012 è di qualche anno fa, ma alquanto esaustivo. In Italia le aree ad elevato rischio sismico sono circa il 50% del territorio nazionale e il 38% dei Comuni. «Le aree più interessate dal fenomeno si trovano lungo l’intero arco appenninico, nella parte orientale delle Alpi e in corrispondenza delle aree vulcaniche (attive o storiche). La maggior parte degli eventi sismici rilevati dagli strumenti non vengono avvertiti dalla popolazione sia perché hanno magnitudo limitata, inferiore a 4,0, sia perché il loro epicentro ricade in zone non abitate. Negli ultimi 30 anni oltre 50 terremoti hanno avuto una magnitudo superiore a 5,0». Non dobbiamo poi dimenticare le aree ad elevata criticità idrogeologica, che rappresentano il 10% della superficie italiana e riguardano l’89% dei Comuni.
COSA SI È FATTO FINORA
Il governo sta mettendo a punto il piano Casa Italia (da due miliardi di euro l’anno) che comprende l’adeguamento antisismico, gli investimenti su scuole, periferie e dissesto idrogeologico. In questi anni, quando si sono verificati eventi piuttosto gravi per i criteri italiani, altro non si è potuto fare che contare i morti e stimare i danni. Se questa volta si è evitata la strage è perché i precedenti interventi strutturali sugli edifici – in un’area già in passato colpita dal terremoto – hanno funzionato, confermando l’importanza della prevenzione. Si stima che il 60% dei vecchi edifici non siano sicuri e che ammontino a cinque milioni quelli ubicati in zone ad elevato rischio sismico, anche se la professoressa Maria Cristina Forlani in una recente intervista a T-Mag sulla ricostruzione post-terremoto non ha escluso possano essere di più. Il rapporto Ance-Cresme, che al suo interno propone uno scenario previsionale decennale 2011-2020, osserva che gli scenari demografici in termini di dinamiche urbane (riduzione del numero di nuove famiglie, invecchiamento della popolazione…) potrebbe rendere consistente il volume degli scambi sul mercato immobiliare, «con una netta contrazione però della domanda di nuove abitazioni e il progressivo esaurimento delle dinamiche di espansione urbana». Tradotto: l’aumento delle abitazioni usate che tornano sul mercato dovrebbe incentivare gli interventi di messa in sicurezza.
LE PREVISIONI (DI QUALCHE ANNO FA)
Alla luce di quanto osservato, si legge nel rapporto: «In definitiva, seppur con minore intensità rispetto all’ultima fase espansiva, lo scenario demografico indica per il prossimo decennio un potenziale di crescita ancora sostenuto, da ricondurre principalmente ai flussi migratori residui e pertanto localizzato nelle aree più dinamiche ed attrattive del Paese. Con riferimento al periodo 2011-2020, infatti, è previsto un incremento demografico complessivo che nell’ipotesi massima potrebbe giungere al 4,2%, quasi 2,6 milioni di abitanti in più, con una crescita nelle regioni del Nord-Est (826 mila abitanti in più per un incremento del 7,1%), del Centro (un milione di abitanti pari ad un incremento dell’8,9%) e del Nord-Ovest (785 mila abitanti pari ad un incremento del 4,9%), mentre nel Sud e nelle Isole è previsto un calo che sfiora l’1%».
«Ma è importante sottolineare – si apprende subito dopo – che una quota significativa del potenziale di crescita demografica residua interesserà proprio aree già oggi ad elevato rischio sismico ed idrogeologico, ribadendo l’assoluta necessità di messa in sicurezza di territori che, sebbene fragili dal punto di vista ambientale, risultano assai dinamici ed attrattivi dal punto di vista economico, e dove l’ulteriore aumento della pressione antropica potrebbe costituire un fattore di accelerazione dei fenomeni di rischio e di degrado del territorio». Questa, dunque, la ripartizione geografica: nelle regioni del Nord-Est il 24% dell’incremento demografico previsto interessa Comuni ad elevato rischio idrogeologico e il 35% Comuni ad elevato rischio sismico; nelle regioni del Nord-Ovest le aree sensibili sono pari al 15,6% per il rischio idrogeologico e al 4.2% per il rischio sismico; nelle regioni del Centro si attesta al 55% per il rischio sismico e al 9,4% per il rischio idrogeologico.
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