Censura e controllo, peggiora la libertà online
Freedom House, organizzazione non governativa che svolge attività di ricerca e sensibilizzazione per la democrazia, i diritti umani e le libertà politiche, ha pubblicato il suo annuale rapporto Freedom on the Net da cui emerge che due terzi degli utenti di internet vivono in paesi in cui vige la censura online. Nel periodo considerato dall’analisi, giugno 2015 – maggio 2016, si osservano 65 paesi, ovvero l’88% della popolazione globale online, e ne risulta che per il sesto anno consecutivo la libertà online a livello globale è diminuita, anche in paesi occidentali che rimangono tuttora liberi. L’organizzazione prende in esame tre parametri quali gli ostacoli all’accesso di internet, i limiti posti ai contenuti e le violazioni dei diritti dell’utente, e pone ogni paese su una scala da 0 a 100 a seconda del punteggio ottenuto in ogni dimensione.
Il rapporto pur non monitorando tutti i paesi, ad esempio la Corea del Nord, rivela che nell’ultimo anno in 38 nazioni sono stati effettuati arresti per contenuti pubblicati sui social. E sono proprio gli utenti dei social network ad essere maggiormente penalizzati dall’occhio della censura, infatti Facebook e Twitter si confermano i più controllati, anche se attenzione sempre crescente è posta dai governi ad applicazioni di comunicazione quali WhatsApp e Telegram.
Il paese che secondo Freedom House ottiene il peggior risultato è la Cina, 88 punti, seguita da Siria e Iran, entrambe a 87. Sul podio troviamo Estonia e Islanda, con 6 punti, e Canada, 16. In generale è stimato che il 24% dei paesi del mondo (con un 12% non valutato) può essere considerato libero, il 29% parzialmente libero e il 35% non libero, poiché ottiene un punteggio maggiore di 61. Pur non essendo tutti, i paesi dell’Unione europea che l’organizzazione monitora sono considerati liberi.
In particolare l’Italia si trova all’undicesima posizione, con 25 punti. Nonostante l’Italia sia stato il primo paese in Europa a produrre la “Dichiarazione dei diritti in Internet” con lo scopo di accrescere la consapevolezza dei diritti online, il rapporto tiene conto nell’ultima categoria anche di minacce e intimidazioni legali a cui sono soggetti di tanto in tanto giornalisti o semplici utenti dei social.