“L’Europa? Data forse per scontata”
“Sono nato nel 1963 nell’Assia, vicino Kassel, Germania Occidentale, e per me l’Europa è sempre stata qualcosa di naturale. I Muri erano caduti e che si andasse verso un’area, una politica, un mercato comune sembrava a me, e direi alla mia generazione, la cosa più logica. Ora invece vediamo che l’Europa è qualcosa che, se non ci si lavora, può andare in pezzi, frammentarsi in schegge nazionali che potrebbero, temo, diventare pericolose. Forse L’Europa, mi viene da pensare, l’abbiamo data un po’ troppo per scontata”. A parlare è Matthias Schmidt, deputato del partito social-democratico tedesco (SPD) al Bundestag, eletto nel distretto di Treptow-Köpenick, a Berlino. Schmidt è anche membro del gruppo parlamentare bilaterale fra Italia e Germania, una trentina di deputati tedeschi provenienti da tutti i partiti che a cadenza regolare incontrano i deputati italiani del gruppo omologo – presidente del quale è l’on. Laura Garavini (PD) – per informarsi reciprocamente dello stato delle cose nei rispettivi Paesi. Noi lo incontriamo in una kneipe sull’Arkonaplatz, ieri piazza di Berlino est a ridosso del Muro, oggi ospite di un mercatino dell’usato la domenica, del biologico il venerdì e tutti i giorni di un parco giochi per famiglie di provenienza internazionale e molto europea.
Herr Schmidt, come funziona il gruppo bilaterale tedesco per i rapporti con l’Italia? E quali sono i suoi obiettivi?
Gli obiettivi non sono ben definiti, e questo anche perché si tratta di un gruppo parlamentare interpartitico. Il che significa che, se all’interno del gruppo si prova a dire: ‘Colleghi, forse con gli omologhi italiani dovremmo parlare di questo e di quello…’, c’è sempre qualcuno che dice: ‘a riguardo non sono autorizzato a parlare dal partito’. Ciò a parte, il regolamento prevede che i membri dei due gruppi, quello tedesco e quello italiano, si rechino almeno una volta l’anno nell’altro Paese. Si tratta cioè di garantire un piano di comunicazione fra i deputati dei due Paesi; piano dove di solito vengono affrontate questioni politiche.
Vede difficoltà fra Italia e Germania?
Direttamente fra i due Paesi non ne vedo di importanti, almeno non dal lato tedesco. Penso invece che la maggiore priorità dell’Europa siano adesso i migranti, e questo rappresenta naturalmente anche una questione centrale fra Italia e Germania. Di questo infatti si è parlato durante gli ultimi incontri bilaterali, dove è stato redatto un documento comune. Penso che un errore di fondo sia stato rappresentato da Dublino III, oggi in via di superamento, dove si ribadiva che i migranti erano di competenza dei Paesi di arrivo. Questo ha permesso ad esempio ai tedeschi di stare a guardare per un certo periodo, mentre gli italiani si trovavano nei problemi. Secondo me, un elemento fondante, cioè implicito e imprescindibile dell’UE, deve essere la solidarietà fra Paesi membri. È interessante del resto notare come in Germania si sia cominciato l’anno scorso, quando qui arrivarono circa un milione di persone, a parlare di solidarietà europea, di come ci fosse bisogno che i Paesi Ue si aiutassero fra loro. Penso quindi che in particolare da Italia e Germania sarebbe importante giungesse adesso un segno di solidarietà effettiva, e insieme a questo il riconoscimento che molto di quanto è stato fatto prima era frutto di valutazioni errate. E devo dire che Angela Merkel, per quanto non sia mio dovere difendere il suo operato, ha già dato segni in entrambe le direzioni.
A proposito di solidarietà, ho letto che quando – in occasione del terremoto di questo autunno – l’ex premier Renzi ha parlato dei costi di ricostruzione da conteggiare al di fuori del Patto di Stabilità, lei gli ha dato non solo ragione ma ha anche proposto l’invio di aiuti concreti.
Sì, certamente. Penso che il Patto di Stabilità sia importante ma penso anche che si debba essere capaci di contestualizzare quando ci si trova davanti a emergenze naturali, come un terremoto, o sociali, come una grande ondata di persone in fuga. E che quando ci si trovi a scegliere fra numeri e persone, la priorità vada data alle persone. Del resto, anche il portavoce del governo tedesco, poco dopo il terremoto, si disse d’accordo sulla questione. Il problema semmai è che, passate due settimane, del sisma non si ricorda più nessuno e si ricomincia a parlare solo del Patto di Stabilità e delle sue cifre.
Sono temi che trattate anche all’interno del gruppo parlamentare bilaterale?
È difficile che si arrivi a parlare di questi temi, proprio per le ragioni che le dicevo prima.
Il referendum italiano e le successive dimissioni di Renzi sono cose di pochi giorni fa. Qual è la sua impressione sul recente voto referendario in Italia?
Probabilmente Matteo Renzi si è sopravvalutato. Penso che il referendum si sarebbe comunque personalizzato, diventando un voto pro o contro Renzi. Ma il premier ha fatto il primo passo in questa direzione. Ora si riparla di elezioni, e il rischio che possa vincerle il Movimento 5 stelle è piuttosto forte. Per cui mi sembra logico pensare che in Italia si cercherà di portare a termine il periodo di legislatura. Immagino che lo stesso PD abbia interesse a uno sviluppo del genere.
Italia e Germania sono stati due Paesi ad alta politicizzazione diffusa, dove nei primi anni del dopoguerra si avevano affluenze alle urne intorno al 90 per cento. Adesso invece e da diversi anni assistiamo a una ben diversa tendenza: progressivo calo della partecipazione al voto, crisi dei partiti tradizionali e forte aumento dei movimenti ‘populisti’, gli unici fra l’altro, sia in Italia che in Germania, ad avere riportato alle urne elettori che le disertavano da tempo. La sua impressione, su questi sviluppi?
Conosco la situazione italiana troppo poco per pronunciarmi ma in Germania sì, le cose stanno come ha detto lei. Tuttavia non direi che la cosa mi preoccupi molto. Sono abbastanza certo, intanto, che le prossime elezioni in Germania vedranno una affluenza più alta. Ci saranno tre prospettive in gioco – un governo rosso-rosso-verde, la Cdu-CSU e, un po’ a lato, l’Afd – tre approcci molto differenti fra loro. Ne seguirà a mio avviso una forte discussione pubblica, sia su questioni politiche che sociali. E la domanda sarà: in che direzione vogliamo andare? E questo farà sì, a mio avviso, che anche la partecipazione al voto ne risentirà al rialzo.
Di movimenti di estrema destra, o anche di quelli populisti, noi tedeschi siamo piuttosto esperti, dati i nostri trascorsi storici. E dal dopoguerra in poi abbiamo sempre saputo che, se anche un 10-15 per cento di connazionali avrebbe potuto sottoscrivere alcune istanze nazionaliste, non per questo sarebbe stato disposto a votare per un partito di estrema destra. Per cui sapevamo che un partito come l’NPD, ad esempio, non avrebbe mai superato il 3-4 per cento delle preferenze. Così anche se in Europa i movimenti populistici o di estrema destra sono andati negli anni un po’ ovunque avanzando – pensiamo solo al Fronte Nazionale in Francia e alla Lega Nord in Italia – in Germania finora ce l’eravamo cavata piuttosto bene. Però poi il fenomeno è esploso all’improvviso con l’apparizione di realtà politiche come Pegida o ancor più l’AfD. Realtà per cui la gente adesso, sì, è disposta a votare. Si parla molto di crisi della politica e io a volte mi domando se questa crisi non ci fosse già da prima, e che ora sia però diventato più facile esprimerla. E non mi riferisco tanto ai social network quanto ai comportamenti della gente. A me ad esempio è capitato spesso di sentirmi dire: “Allora sei un bugiardo”, non appena mi qualificavo o venivo presentato come politico. Penso che una cosa del genere cinque anni fa difficilmente sarebbe accaduta, e dieci anni fa certamente no.
E quando questo succede, le danno poi qualche motivazione?
Quando provo a parlarci, a chiedere il perché sarei ad esempio un bugiardo, di solito non sanno bene che dire. Le racconto un episodio di non molto tempo fa, poco prima delle elezioni comunali a Berlino (18 settembre 2016, NdR). Ero ad un incontro e vedo una signora che prima mi passa davanti guardandomi con odio e poi torna indietro e mi dice, molto arrabbiata: “La prossima volta andate sotto il 20 per cento!”, intendendo il mio partito, l’SPD. Io, pensando appunto al voto di Berlino, le rispondo: no, non credo signora, prenderemo di più. “Sotto il 20 per cento!”. Ma perché, cosa faremmo di sbagliato? “Il ciccione deve andare via!”. Intende forse Sigmar Gabriel, signora? Lo vedo più o meno una volta a settimana, e se Lei mi dice cosa dovrebbe fare di diverso, glielo riferirò volentieri. A quel punto la signora ha tirato fuori uno smartphone e mi ha detto: “Cosa dovrebbe fare di diverso? Ma Lei non ce l’ha una connessione Internet? Non vede tutto quello che succede? E mi chiede cosa dovrebbe fare di diverso?”. E se ne è andata.
In effetti sembra il tipo di umore che può alimentare un voto populista. E rispetto al manifestarsi di questo fenomeno, cosa ne pensa il suo partito?
Naturalmente è un problema su cui riflettiamo molto. A mio avviso, il nodo rimane quello dell’Europa: dobbiamo riuscire a rilanciare una nuova visione dell’Unione europea. Quando si parla di soldi, si parla del minimo: se l’Europa vuole rilanciarsi, deve farlo in termini di valori. L’Europa dello sviluppo pacifico e sostenibile, della solidarietà reciproca fra Paesi, l’Europa del libero scambio di studenti e lavoratori, della libera circolazione delle merci e di una moneta comune. Di questo negli ultimi anni molto è andato perduto, sostituito dall’immagine di una Bruxelles burocratica e invadente, estranea ai cittadini e dedita solo a cifre, regole e sanzioni. Era il 2012 quando l’UE ha vinto il Nobel per la Pace. Oggi, siamo onesti, a qualcuno verrebbe ancora in mente di attribuire all’UE un riconoscimento del genere? Quindi da una parte penso, come le dicevo all’inizio, che alcuni di noi abbiano forse dato un po’ troppo per scontato la riuscita del progetto europeo. E dall’altra però sono convinto che questa sia una grande occasione per la sinistra, in particolar modo per il PD in Italia e l’SPD in Germania. Sviluppare un’immagine dell’Europa che la renda di nuovo attraente e credibile. Certo non un compito facile, anche considerando le tendenze populiste in corso, tuttavia necessario e anche entusiasmante.
Ecco, tornando un attimo agli incontri bilaterali, penso che potrebbero essere dei luoghi privilegiati per portare avanti questo tipo di lavoro. L’ultima volta ad esempio ci siamo incontrati senza ordine del giorno e abbiamo iniziato subito a parlare della questione migranti andando avanti per quasi tre ore. È andata bene anche così ma forse gli incontri potrebbero essere intensificati e ottimizzati, con argomenti specifici e obiettivi progressivi. Incontrarsi, informarsi, pensare e fare proposte comuni sul futuro dell’Europa, creando nel mentre una fiducia reciproca. È per questo, in fondo, che esistono i gruppi bilaterali”.