Dal fintech allo smart working, il modello Soisy
Due anni fa le società fintech individuate da Startupitalia nel nostro paese erano 115 – nel frattempo il numero potrebbe essere lievitato –, con investimenti nel settore pari a 33,6 milioni di euro, un valore quadruplicato rispetto al 2014. A livello globale, lo scorso anno, sono stati investiti oltre 17 miliardi di dollari. Il mondo delle startup sta rivoluzionando il settore finanziario e le grandi banche stanno correndo ai ripari, attraverso collaborazioni con le nuove realtà o con lo sviluppo di piattaforme online. Un impiego in banca era una volta l’emblema del posto sicuro. La verità è che solo dal 2013 al 2015, secondo i recenti dati della Faba (il sindacato di settore), in 12 mila hanno perso il lavoro. Troppe filiali sui territori, costi talvolta eccessivi, l’introduzione di servizi quali l’home banking e competitor innovativi all’orizzonte hanno contribuito al momento delicato del settore, senza dimenticare la crescente sfiducia di correntisti e risparmiatori dopo la crisi del 2007-2008. «Le banche hanno effettivamente vissuto negli ultimi anni due grossi problemi». A parlare con T-Mag è Andrea Sandro, co-fondatore di Soisy, startup nata nel 2015 e attiva nell’ambito dei prestiti tra privati. «Il primo – prosegue Sandro nel suo ragionamento – è quello relativo ai non performing loans, un macigno che si trascinavano dietro da tempo e che la crisi ha fatto emergere. Dall’altro lato la maggiore concorrenza rispetto al passato: con l’esplosione del fintech, nuove società hanno cominciato a offrire prodotti migliori ed evitando sforzi eccessivi ai clienti, considerata la riduzione dei costi. Al contrario delle banche, in precedenza abituate a dover gestire di tutto, tesoreria, prestiti, mutui o investimenti, le realtà fintech sono in grado di offrire servizi molto personalizzati. Un po’ come è avvenuto in altri settori, ora anche i grandi player della finanza stanno comprendendo l’importanza della rivoluzione tecnologica. Stiamo assistendo ad una profonda trasformazione del settore in generale e, nello specifico, del ruolo della banca».
COSA È IL FINTECH E IL CASO SOISY
Servirà ancora del tempo prima che il processo si compia definitivamente, ma il trend è quello: i clienti di banche sono sempre più digitalizzati, quindi sempre meno si recano nelle filiali. Stiamo attraversando, insomma, una lunga fase di transizione. Una persona può confrontare online i diversi prodotti, prendere contatti tramite un’app e valutare le offerte che fanno al caso proprio. È in questo solco che si collocano le società fintech, che sfruttano l’ICT per la fornitura di servizi finanziari. Pietro Cesati, fondatore di Soisy, viene dal mondo delle banche. Così come Andrea Sandro. Ne hanno conosciuto vizi e virtù e, a un certo punto delle loro carriere nel settore, hanno deciso di creare una struttura capace di favorire i prestiti tra privati. La pratica si chiama peer-to-peer lending (P2P lending), o social lending: privati e aziende ricevono prestiti direttamente da altri privati e aziende, senza rivolgersi alla banca o alla finanziaria. Tale incontro avviene in un marketplace virtuale gestito dalla società, che non fa né riceve credito, ma si limita a garantirne il funzionamento. Trattandosi di un istituto di pagamento, Soisy è autorizzato e vigilato dalla Banca d’Italia. «Ci siamo costituiti a gennaio del 2015 – ricorda Sandro a T-Mag – e abbiamo richiesto subito l’autorizzazione a Banca d’Italia in qualità di istituto di pagamento. L’ok è arrivato nel mese di novembre, abbiamo poi iniziato a registrare i primi investitori ad aprile 2016, i primi richiedenti a maggio e il primo prestito lo abbiamo intermediato il mese successivo». Soisy, dunque mette in contatto i privati: «Il nostro investitore ‘tipo’ è una persona che ha dei soldi da parte, ma più che al rendimento è interessato a investire in maniera etica, cioè ad avere chiarezza e trasparenza su cosa sta investendo, ad esempio il progetto di un’altra persona o la ristrutturazione di un ufficio. Il richiedente, invece, si rivolge a noi perché ha bisogno di un finanziamento. Potrebbe andare in banca, certo, ma non lo fa perché probabilmente sfiduciato e preferisce un metodo più snello e immediato, accedendo da smartphone, tablet o computer». Il richiedente fornisce i dati personali, Soisy fa le dovute verifiche – gestione dei rischi, controlli antiriciclaggio… – entro le 24 ore: se approvata, chiuso il contratto con firma digitale, la richiesta di prestito viene inserita nel marketplace e associata alle proposte di investimento compatibili. Il processo può dirsi allora completato, con vantaggi da entrambe le parti e sicurezza sui tassi d’interesse applicati. «Stiamo anche cominciando ad avviare partnership con negozi fisici e piattaforme e-commerce, ovvero diamo la possibilità ai clienti di acquistare prodotti o servizi pagando a rate tramite la nostra startup», aggiunge Sandro.
IL METODO SOISY: SHARING ECONOMY E SMART WORKING
In altre parole quello che Soisy propone è una forma di sharing economy – l’economia della condivisione – adattata alla finanza, che diventa così “collaborativa”. Ma l’altro aspetto interessante, utile all’indagine di Galassia Lavoro, l’Osservatorio di T-Mag, è il metodo di lavoro che sviluppa la startup. «Oggi a Soisy lavorano nove persone – racconta Sandro –, siamo partiti da Milano e abbiamo deciso di sviluppare l’intera piattaforma in house, evitando di acquistare software esterno in modo da essere flessibili nella gestione e nell’integrazione di nuovi servizi. All’inizio, però, non avevamo sviluppatori in società e ci siamo affidati ad una software house di Cesena. Osservandoli abbiamo scoperto un mondo, in particolare quello della metodologia agile del lavoro, tipica degli sviluppatori. Loro tendono infatti ad accorciare il feedback con il cliente, interagendo il più possibile da remoto. Ogni settimana validano con il committente il prodotto che hanno sviluppato, ottimizzando i tempi. Ecco, noi abbiamo derivato tantissimo da questo approccio, sfruttando stand-up meeting e vari strumenti software in cui condividere progressi o difficoltà nell’avanzamento delle attività». Il risultato è che ognuno in Soisy può svolgere i propri compiti dalla postazione che ritiene più opportuna: «Abbiamo ovviamente una sede fisica, all’interno del Talent Garden di Milano – Calabiana, che è la più grande area europea dedicata al co-working. Chi vuole, può andare, e spesso ci raduniamo lì per le riunioni o gli incontri. Ma spesso lavoriamo a distanza, tutto quello che ci serve è un computer ed una buona connessione. È una grande opportunità per noi: alcuni nostri sviluppatori lavorano in città diverse. Oppure c’è una ragazza che si divide tra Roma e Milano. Io stesso, per esigenze personali, ho avuto necessità di passare del tempo a Roma lo scorso anno senza per questo compromettere la mia attività lavorativa». Non mancano però le strategie per mantenere intatte le relazioni face to face: «Una volta ogni quattro mesi, per una settimana, andiamo a lavorare tutti insieme in un posto che scegliamo, prendendo una casa con Airbnb o uno spazio in co-working. Siamo stati in Sardegna e poi in Trentino, fuori stagione per limare i costi. Siamo stati anche a Valencia e a fine settembre andremo a Berlino».
Quali i benefici che se ne traggono? «Il remote working – risponde il co-fondatore di Soisy – ci rende più produttivi, evitando la confusione dell’ufficio. Manca la parte relazionale, comunque importante, che colmiamo con questi appuntamenti. Ad ogni modo si tratta di una condizione win-win per i dipendenti e per l’azienda perché dà la possibilità ad ognuno di noi di organizzare la propria vita. Abbiamo un orario di lavoro, che possiamo gestire come meglio crediamo. Dal lato della società, è importante scegliere le persone che hanno i tuoi stessi valori in quanto la pianificazione degli impegni si basa molto sulla fiducia reciproca. Questo ci permette di allargare l’orizzonte nella selezione dei talenti, in particolare con gli sviluppatori che spesso richiedono flessibilità e sicurezza economica. Per quella che è la nostra esperienza – conclude Sandro – il bilancio fino a qui è senza dubbio positivo».