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Gender pay gap, il caso italiano

Molto dipende dalla qualifica ricoperta e dal titolo di studio, ma l'impatto delle differenze salariali non si esaurisce una volta conclusa la carriera lavorativa. Secondo, uno studio di Accenture qualcosa potrebbe cambiare in futuro
di Redazione

Nel primo trimestre 2017, il tasso di occupazione maschile era superiore a quello femminile: 66,2 contro il 48,2% (dati ISTAT). Le difficoltà incontrate dalle donne nell’inserirsi nel mondo del lavoro non sono l’unica cosa da sottolineare, però.

Anche una volta trovato un impiego, le donne continuano ad essere svantaggiate, percependo uno stipendio inferiore a quello riconosciuto agli uomini. L’osservatorio JobPricing, Gender Gap Report 2017, rileva che le retribuzioni medie a livello nazionale sono pari a 30.676 euro per gli uomini e pari a 27.228 euro per le donne, con un divario di 12,7 punti percentuali a favore dei primi.
Lo studio osserva che il divario retributivo cresce dove è maggiore è la concentrazione maschile: il gap nello stipendio dei dirigenti è del 12,2% e in aumento rispetto all’anno precedente, per gli operai è del 12,9%, mentre è lievemente inferiore tra impiegati (11,7%) e ancora più contenuto e in diminuzione nel caso dei quadri (passa da 5% a 4,4%).
Molto dipende anche dal titolo di studio: secondo il rapporto, la differenza retributiva tra uomini e donne è più contenuta tra gli occupati che non hanno un titolo di studi universitario, pari a circa l’80% della popolazione italiana. Il motivo? Il numero delle donne laureate è cresciuto solo recentemente.
Complessivamente, a livello nazionale, i lavoratori laureati guadagnano il 33% in più delle donne con lo stesso grado di istruzione (il dato è giustificato dal fatto che hanno meno anni di carriera professionale e non sono ancora giunte all’apice della loro curva retributiva).
Qualcosa potrebbe cambiare: lo studio Getting to Equal 2017 di Accenture rivela che, nei prossimi decenni, il divario retributivo potrebbe scomparire se le donne sapranno sfruttare tre fattori chiave – l’elenco comprende digital fluency, strategia di carriera, competenze tecnologiche – a patto (naturalmente) che Stato, mondo accademico e imprese sostengano fattivamente il cambiamento.
Nei mercati maturi, la compresenza di questi fattori potrebbe eliminare le differenze salariali entro il 2044, con 36 anni di anticipo rispetto al previsto. In Italia si potrebbe raggiungere la parità salariale nel 2049, rispetto al previsto 2091, con 42 anni di anticipo.
L’impatto delle differenze salariali non si esaurisce una volta conclusa la carriera lavorativa, ovviamente: a stipendi più bassi corrispondono pensioni più basse. Il Parlamento europeo sottolinea che nei Paesi dell’Unione europea la differenza nelle pensioni tra uomini e donne di età compresa tra i 65 e i 74 anni varia tra il 3,7 e il 48,8%. In Italia si attesta al 38% (i dati più recenti sono dell’Eurostat e aggiornati al 2013).
Quello relativo alle differenze salariali di genere non è di un problema esclusivamente italiano: annualmente il WEF – ovvero il World Economic Forum, conosciuto anche come Forum di Davos – realizza il Global Gender Gap Report che analizza le differenze di genere registrate in oltre 130 Paesi.

 

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