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Cosa cambia dopo il referendum

Il sì vince in Lombardia e in Veneto. Ora le Regioni avvieranno la procedura per richiedere maggiore autonomia e nuove competenze
di Redazione

L’indomani dei referendum consultivi sull’autonomia di Lombardia e Veneto ci si interroga su come cambieranno, se cambieranno, le due regioni in cui il “sì” ha ottenuto un plebiscito. Per il momento, risposta breve, cambia poco o nulla. Cambia che i presidenti Roberto Maroni e Luca Zaia – al di là delle conseguenze politiche, il significato della partecipazione di milioni di cittadini, il Nord e il possibile rafforzamento della Lega in vista del voto, riflessioni comunque importanti – avranno ora, come era loro prerogativa, più potere contrattuale quando la trattativa con il governo verrà avviata. Perché solo a questo, trattandosi di referendum consultivo, potevano in effetti mirare: un mandato popolare “forte”, spendibile a Roma. E lo hanno ottenuto.

Resta tuttavia aperta una questione fondamentale: cosa potranno (o non potranno) ottenere. Il presidente del Veneto, in particolare, ha dichiarato di pretendere per la sua regione le 23 materie (le 20 di legislazione concorrente più tre di legislazione esclusiva dello Stato) e i nove decimi delle tasse. Dall’altro lato, però, il ministro Maurizio Martina, ha risposto che «le materie fiscali non sono e non possono essere oggetto di trattativa né con il Veneto né con la Lombardia e neanche con l’Emilia Romagna che ha avviato un’interlocuzione con il governo senza passare dal referendum». Come stanno le cose? Prima un passo indietro. Il referendum, seppure non espressamente necessario (il recente caso Emilia Romagna, appunto, è lì a dimostrarlo), è ben inserito ad ogni modo nel dettato costituzionale. Oltre quelle a statuto speciale, infatti, al terzo comma dell’Art. 116 della Costituzione (introdotto con la riforma del Titolo V) si afferma che «ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia […] possono essere attribuite ad altre Regioni, con legge dello Stato, su iniziativa della Regione interessata, sentito gli enti locali, nel rispetto dei principi di cui all’articolo 119» (che sancisce l’autonomia finanziaria di entrata e di spesa). La vittoria del “sì”, però, non rende Lombardia e Veneto automaticamente regioni a statuto speciale, né regioni con un maggior grado di autonomia. Per questo bisognerà attendere la conclusione dell’iter, con le trattative che prenderanno il via a breve.

Per quanto riguarda le materie su cui le regioni interessate chiedono maggiore autonomia vi sono le venti elencate nell’articolo 117 della Costituzione (legislazione concorrente): «Rapporti internazionali e con l’Unione europea delle Regioni; commercio con l’estero; tutela e sicurezza del lavoro; istruzione, salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e della formazione professionale; professioni; ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all’innovazione per i settori produttivi; tutela della salute; alimentazione; ordinamento sportivo; protezione civile; governo del territorio; porti e aeroporti civili; grandi reti di trasporto e di navigazione; ordinamento della comunicazione; produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia; previdenza complementare e integrativa; coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario; valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali; casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale; enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale». A queste vanno quindi aggiunte le tre di potestà esclusiva statale che però rientrano tra quelle che saranno oggetto di discussione: organizzazione della giustizia di pace, norme generali sull’istruzione, tutela dell’ambiente.

Per quanto riguarda le materie fiscali, il discorso è più complesso. Prendiamo il caso della Lombardia: il residuo fiscale (la differenza tra le tasse pagate allo Stato dai cittadini lombardi e quanto lo Stato restituisce sul territorio regionale), è stato stimato, ammonta a 54 miliardi di euro l’anno, il più alto in Italia, seguito da Emilia Romagna (19 miliardi) e Veneto (15 miliardi). Con l’esito positivo del referendum, la Regione ora si propone di trattenere almeno la metà (27 miliardi) per finanziare le nuove competenze oggetto di trattativa con il governo. Il Veneto vorrebbe ottenere anche qualcosa in più, ma è possibile? Tecnicamente non ci sarebbe un reale impedimento, a patto che si rispetti l’equilibrio di bilancio e i vincoli cui lo Stato centrale è tenuto ad osservare. Insomma, è comunque un dossier non semplice da gestire. Nel momento in cui le Regioni interessate e il governo giungono ad un’intesa sulla maggiore autonomia, è il Parlamento, in entrambi i rami, che dovrà ratificarlo. Serve, nel caso, la maggioranza qualificata, cioè la metà più uno (316 voti a favore alla Camera e 161 voti al Senato).

 

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