La fragilità del territorio italiano
«Sotto il profilo orografico, il territorio italiano è classificato come collina per il 41,7 per cento, come montagna per il 35,2 per cento e come pianura per il 23,2 per cento. Nel 2016 la popolazione si localizza prevalentemente nelle aree di pianura (48,9 per cento di residenti) e in quelle di collina (38,9 per cento). La popolazione residente nel corso dell’anno ha subito un calo pari a -0,1 per cento, ma con differenziazioni nelle diverse zone altimetriche: più forte nella zona di montagna (-0,4 per cento), più contenuto in collina (-0,2 per cento) e nullo in pianura. Nelle aree di pianura si riscontra la più alta densità abitativa con 423 abitanti per chilometro quadrato, il doppio della media nazionale di 201 abitanti». Questa la descrizione dell’Istat nell’Annuario statistico in riferimento al territorio italiano. Un territorio che – è risaputo – appare fragile, con elevati rischi sismici e idrogeologici.
«Il 2016 – ricorda ancora l’Istat – è stato caratterizzato da un’intensa attività sismica, la maggiore degli ultimi trent’anni, concentrata soprattutto nelle regioni centrali: Marche, Umbria, Lazio e Abruzzo, dove infatti sono ubicati gli epicentri dell’87 per cento dei sismi di magnitudo superiore a 3,0. Nel complesso sono stati 140 i comuni colpiti dagli effetti della sequenza sismica, comprendendo anche quella verificatasi il 18 gennaio 2017 con epicentro in provincia de L’Aquila». In Italia oltre 21 milioni di persone vivono in aree ad elevato rischio sismico (Zone 1 e 2, secondo i parametri della Protezione civile). Ma cosa è il rischio sismico? «Il rischio sismico, determinato dalla combinazione della pericolosità, della vulnerabilità e dell’esposizione – spiega giustappunto la Protezione civile -, è la misura dei danni attesi in un dato intervallo di tempo, in base al tipo di sismicità, di resistenza delle costruzioni e di antropizzazione (natura, qualità e quantità dei beni esposti). L’Italia ha una pericolosità sismica medio-alta (per frequenza e intensità dei fenomeni), una vulnerabilità molto elevata (per fragilità del patrimonio edilizio, infrastrutturale, industriale, produttivo e dei servizi) e un’esposizione altissima (per densità abitativa e presenza di un patrimonio storico, artistico e monumentale unico al mondo)».
Nel nostro Paese prevalgono i comuni di piccole dimensioni: al 31 dicembre 2016 il 46,3% – i dati sono di nuovo quelli diffusi dall’Istat – non supera i 20 chilometri quadrati di superficie e il 69,9% ha una popolazione pari o inferiore ai cinquemila abitanti. Questa frammentarietà è, tuttavia, in via di riduzione per effetto della politica di contenimento della spesa pubblica che sta ridimensionando il numero dei comuni: al 31 dicembre 2016 erano passati a 7.998, ulteriormente ridottisi a 7.978 nel maggio 2017. La classificazione delle aree ad alto rischio sismico interessa circa il 36% dei comuni.
Per quanto riguarda il rischio idrogeologico, «il consumo di suolo all’interno di aree classificate a pericolosità da frana (P4+P3+P2+P1+AA) – si legge nell’edizione 2017 del Rapporto sul consumo di suolo in Italia dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) – è circa
l’11,8% (quasi 273.000 ettari) del totale del suolo artificiale in Italia. Il confronto tra i dati 2015 e 2016 ha messo in evidenza che circa l’11,5% del suolo consumato in questo periodo è nelle aree a pericolosità da frana, con un incremento percentuale medio dello 0,2%. Circa 51 ettari sono stati consumati in questo periodo in aree a pericolosità molto elevata (P4), 69 in aree a pericolosità elevata (P3)».
Spiega ancora l’Ispra che la percentuale di consumo di suolo in aree a pericolosità idraulica media è maggiore nella Regione Liguria (oltre il 29%) e a seguire nella Provincia di Bolzano (oltre il 18%) e in Abruzzo (oltre il 14%). Le Regioni Piemonte e Valle D’Aosta hanno registrato un aumento del consumo di suolo tra il 2015 e il 2016 rispettivamente dello 0,3% e 0,4% in aree a pericolosità media. A livello nazionale, nello stesso periodo, 503 ettari sono stati artificializzati in aree a pericolosità media (P2). Tuttavia, precisa chi ha redatto il rapporto, «ad oggi il dato sul consumo di suolo nelle aree a pericolosità non può essere utilizzato per una valutazione della pianificazione territoriale e urbanistica, in quanto gran parte delle superfici artificiali sono state realizzate prima dell’adozione dei PAI (Piano per l’assetto idrogeologico, ndr) e quindi dell’entrata in vigore delle misure di salvaguardia, avvenuta per gran parte del territorio nazionale nel 2001».