Perché l’economia italiana va ancora a rilento
In una recente analisi la Cgia di Mestre – elaborando dati della Commissione europea, Istat, e Prometeia – ha descritto la situazione economica dell’Italia, rapportandola al resto d’Europa e alle performance del nostro Paese nel 2007. Quello che emerge è che per molti indicatori, come gli investimenti, lo stesso Pil o i consumi, la strada da fare per tornare ai livelli pre crisi è ancora piuttosto lunga.
Partendo dal Pil, la Cgia di Mestre ricorda come secondo numerose stime già nel corso del 2018 la crescita economica italiana rischi di affievolirsi. Secondo le previsioni della Commissione europea, il Pil potrebbe crescere dell’1,3% nel corso dell’anno, contro il +1,5% del 2017. Senza contare che nessuno tra i 27 paesi Ue monitorati “conseguirà una crescita più contenuta della nostra”.
La Cgia ha inoltre sottolineato come l’incremento del Pil registrato nel 2017 sia uguale a quello rilevato nel 2003 e che, secondo Prometeia, per eguagliare la crescita del 2007 bisognerà aspettare almeno il biennio 2022-2023. Ad oggi il Pil nominale è inferiore del 5,4% rispetto al 2007.
Ad aggravare la situazione è anche il divario tar le varie regioni italiane. Sono giusto un paio le regioni in cui il Pil attuale ha superato i livelli del 2007 (Lombardia, con un +0,4%, e Trentino Alto Adige, con un +5,6%), mentre nelle altre regioni il gap con i livelli pre-crisi è ancora in negativo. E in alcuni casi il divario è marcato: Marche, Calabria, Liguria, Sicilia, Umbria e Molise presentano un gap da recuperare più ampio del 10%.
Altro indicatore dell’economia italiana per il quale il gap con i livelli pre-crisi risulta ancora elevato sono i consumi: -2,5%. Secondo le previsioni i consumi delle famiglie aumenteranno dell’1,1% nel corso del 2018 mentre quelli della Pubblica amministrazione segneranno un esiguo +0,3%, riportando “le variazioni di aumento tra le più striminzite in tutta l’Ue”. Un risultato, spiega la Cgia, “molto preoccupante, visto che la somma dei valori economici di queste due componenti costituisce l’80 per cento circa del nostro reddito nazionale totale”. Per recuperare il gap con i livelli precedenti bisognerà aspettare il 2019-2020.
Altra nota dolente giunge dagli investimenti, crollati del 24,7% tra il 2007 ed oggi. Secondo le stime formulate dal Centro studi (prevedendo una crescita media annua degli investimenti del 2%), il recupero di quanto perduto a causa della crisi economica non avverrà prima del 2030.
Per quanto riguarda invece il lavoro, i dati della Commissione europea prevedono un calo del tasso di disoccupazione del 10,9% e un aumento del numero degli occupati dello 0,9%. Un miglioramento che non può non infondere un cauto ottimismo, ma come già scritto su T-Mag il problema è che i risultati messi a segno finora (mai così tanti occupati dall’inizio delle serie storiche) sono positivi solo dal punto di vista quantitativo.