Un Paese che non può permettersi di perdere altro tempo
C’è un male atavico che assilla l’Italia. Una perdita che, al di là dei miliardi di euro bruciati in Borsa a causa della situazione politica e delle fibrillazioni dei mercati, vale forse anche di più. Perché quell’elemento, tanto semplice quanto talvolta gravoso, nessuno può restituirlo una volta che è andato: il tempo.
Il nostro è un Paese di eccellenze sparse, da Nord a Sud, anche se troppo spesso tendiamo a dimenticarcene. E abbiamo, allo stesso modo, un’innata (e inspiegabile) capacità ad accumulare ritardi. Questa peculiarità ci fa perdere tanti più miliardi di quanto non faccia lo spread, è una zavorra per le nostre tasche e per la crescita in generale. Ma stare al passo con i tempi che avanzano – mentre là fuori c’è un mondo che cambia a vista d’occhio – ha un costo ed è un processo che va governato in maniera seria. È questo, allora, il maggior rimprovero che potremmo rivolgere alle istituzioni e alle forze politiche che ancora non sono riuscite a trovare una soluzione allo stallo politico post-voto.
Proprio oggi l’Ocse ricorda all’Italia che «l’incertezza politica potrebbe avere un impatto sullo sviluppo economico». Quest’ultimo è un concetto piuttosto esteso e per il momento vorremmo soffermarci su poche, fondamentali questioni. Il lavoro – il perno di qualsiasi economia – si trova in una fase di transizione, ovvero nel mezzo di vecchi e nuovi modelli economici. Il declino, lo sappiamo, è cominciato con la crisi: milioni di posti di lavoro andati in fumo, crollo del potere d’acquisto, debolezza della domanda interna. È diminuita la produttività e, contestualmente, abbiamo smarrito un po’ di competitività, tolta qualche eccezione dovuta al quadro internazionale e al commercio con l’estero. Il recupero registrato negli ultimi anni ha seguito un andamento altalenante e dipendente soprattutto da un contesto più benevolo, a sua volta favorito dalle scelte di politica monetaria della Bce. Sul fronte occupazionale, nel frattempo migliorato, l’Ocse evidenzia qualcosa di cui eravamo già a conoscenza: la qualità del lavoro si è deteriorata. Infine, abbiamo scoperto che il nostro Paese ha un grosso problema con l’età che avanza, una questione – di assoluta importanza – che ben si lega al precedente elenco.
L’Italia è un Paese convalescente, ma costretto ad affrontare le sfide di domani. Eppure innovazione, impatto tecnologico, smart manufacturing, politiche attive e per la conciliazione, ricollocazione dei lavoratori meno qualificati e più esposti ai rischi (dalla delocalizzazione all’automazione dei processi produttivi), sono i temi, grandi assenti, della più stretta attualità. Un peccato capitale, perché non c’è modo di evitare il profondo scollamento delle persone dalla Politica se non si danno loro risposte e strumenti che le aiutino a vivere il presente e a gettare le basi per il futuro. Ma per farlo, appare del tutto inutile sottolinearlo, serve una guida. Serve un governo. Il tempo scorre troppo in fretta per un Paese che non può più permettersi di perdere altro tempo.