Chi era John McCain, in un discorso
Sarà una settimana di omaggi per il senatore John McCain, frontrunner repubblicano alle presidenziali Usa del 2008 che videro trionfare l’allora senatore dell’Illinois, Barack Obama. McCain, eroe di guerra in Vietnam, è morto a 81 anni sabato 25 agosto per un tumore al cervello. Conservatore tutto d’un pezzo, era soprattutto un uomo delle istituzioni, rispettoso dei ruoli e al pieno servizio del Paese. Circostanze che lo hanno reso anche un politico indipendente rispetto alle linee di partito (di qui il soprannome di maverick), condotta che lo ha contraddistinto in particolare negli ultimi tempi, in aperto contrasto con l’attuale presidente Donald Trump. Sostenitore di Ronald Reagan, ma anche del dialogo con i democratici, era inoltre grande amico di Joe Biden e John Kerry. Durante un comizio nel 2008 prese le difese di Obama sul quale in quel periodo tanti americani esprimevano dubbi riguardo la possibilità che il futuro presidente «fosse arabo». McCain rispose allora ad una sua sostenitrice: «No, signora. Obama è un onesto cittadino e padre di famiglia con cui non sono d’accordo su temi importanti, ed è solo su questo che si basa la mia campagna». Per comprendere meglio il personaggio (oltre che politico) McCain vale la pena rileggere il concession speech del 2008, ovvero il discorso con cui ammise la sconfitta alle presidenziali.
Grazie, miei cari amici. Grazie per esser venuti qui, in Arizona, in questa bellissima serata. Siamo giunti al termine di un lungo viaggio. Il popolo americano si è pronunciato, e lo ha fatto con chiarezza. Pochi istanti fa ho avuto l’onore di sentire al telefono il senatore Barack Obama per congratularmi con lui per l’elezione a nuovo presidente del Paese che entrambi amiamo.
In una competizione lunga e difficile qual è stata questa campagna elettorale, il suo successo merita tutto il mio rispetto per l’abilità e perseveranza con cui è stato ottenuto. Il fatto che egli sia riuscito in quest’impresa animando le speranze di così tanti milioni di americani, un tempo ingiustamente convinti di aver ben poco da guadagnare oppure scarsa influenza nell’elezione di un presidente, è qualcosa che desta in me profonda ammirazione.
Questa di oggi è un’elezione storica, e io riconosco lo speciale significato che essa riveste per gli afro-americani e l’orgoglio che stasera essi devono provare. Sono sempre stato convinto che l’America offra opportunità a chiunque abbia lo zelo e la volontà per coglierle. Anche il senatore Obama ne è convinto. Entrambi riconosciamo che sebbene ci siamo lasciati da tempo alle spalle le vecchie ingiustizie che hanno macchiato la reputazione della nostra nazione e negato a un certo numero di americani la piena benedizione della cittadinanza, il loro ricordo ha ancora il potere di ferire.
Un secolo fa, l’invito a cena alla Casa Bianca rivolto dal presidente Theodore Roosevelt a Booker T. Washington fu visto da più parti come un oltraggio. L’America oggi è lontana un mondo dalla crudele e superba faziosità di quei tempi. Niente lo dimostra meglio dell’elezione di un afro-americano alla presidenza degli Stati Uniti. E nessun americano, per nessun motivo, deve oggi rinunciare a onorare la sua cittadinanza in questa che è la più grande nazione della Terra.
Il senatore Obama ha raggiunto un grandioso traguardo per sé e per il suo Paese. Di tutto questo gli rendo merito, e gli porgo le mie più sincere condoglianze per la morte della sua adorata nonna che non è vissuta abbastanza a lungo per vedere questo giorno. Tuttavia, la nostra fede ci assicura che lei oggi riposa al cospetto del Creatore, e sarà quindi molto fiera del buon uomo che ha aiutato a crescere.
Il senatore Obama e io abbiamo avuto le nostre divergenze, e lui ha avuto la meglio. Non c’è dubbio che molte di queste differenze permangano. Sono tempi difficili per il nostro Paese, e io questa sera gli prometto di fare tutto ciò che è in mio potere per aiutarlo a guidarci attraverso le numerose sfide che ci attendono. Esorto tutti gli americani che mi hanno offerto il loro appoggio a unirsi a me non soltanto nel congratularsi con lui, ma nell’offrire al nostro nuovo presidente la buona volontà e un onesto sforzo per trovare il modo di incontrarci, per raggiungere i necessari compromessi, per colmare le nostre differenze e cercare di ritrovare la nostra prosperità, difendere la nostra sicurezza in un mondo pieno di insidie e lasciare ai nostri figli e nipoti un Paese migliore e più forte di quello che abbiamo ereditato.
Quali che siano le nostre differenze, siamo tutti americani. E vi prego di credermi che nessun vincolo è mai stato per me più importante di questo. È normale, questa sera, provare un po’ di delusione; ma già domani dovremo superarla e lavorare assieme per rimettere in moto il nostro Paese. Abbiamo lottato duramente, quanto più non potevamo. E anche se non ce l’abbiamo fatta, il fallimento è mio, non vostro.
Provo immensa gratitudine verso tutti voi, per avermi dato il grande onore di ricevere il vostro sostegno e per tutto ciò che avete fatto per me. Speravo che il risultato fosse diverso. Il cammino è stato impervio sin dall’inizio. Ma il vostro sostegno e la vostra amicizia non hanno mai vacillato. Non trovo le parole giuste per esprimervi quanto profonda sia la mia riconoscenza.
Sono particolarmente grato a mia moglie Cindy, ai miei figli, alla mia cara madre, a tutta la mia famiglia e ai tanti vecchi e amici che sono stati al mio fianco nei molti alti e bassi di questa lunga campagna elettorale. Sono sempre stato un uomo fortunato, e più che mai per l’amore e l’incoraggiamento che mi avete dimostrato. Come sapete, le campagne elettorali sono spesso più dure per la famiglia del candidato che per il candidato stesso, e anche questa campagna lo ha confermato. Tutto ciò che posso offrirvi in cambio è il mio amore e la mia gratitudine, e la promessa di anni più sereni d’ora in avanti.
Sono anche molto riconoscente, naturalmente, alla governatrice Sarah Palin, una delle migliori attiviste elettorali che abbia mai visto. È una voce nuova e sorprendente nel Partito repubblicano, per le riforme e i principi che hanno sempre rappresentato il nostro vero punto di forza. E sono grato a suo marito Todd e ai loro cinque splendidi figli per la loro instancabile dedizione alla nostra causa e per il coraggio e la sensibilità che hanno dimostrato. Noi tutti possiamo guardare avanti con enorme interesse al futuro impegno di Sarah Palin al servizio dell’Alaska, del Partito repubblicano e del nostro Paese.
Rivolgo un immenso grazie a tutti coloro che mi hanno accompagnato, da Rick Davis, Steve Schmidt e Mark Salter all’ultimo volontario che, mese dopo mese, si sono spesi così duramente e valorosamente in quella che a volte è sembrata la campagna più combattuta dei tempi moderni. Un’elezione persa non conterà mai, per me, più del privilegio della vostra fiducia e amicizia. Davvero non so che cosa avremmo potuto fare di più per tentare di vincere quest’elezione. Lascio ad altri il compito di valutarlo.
Ogni candidato commette degli sbagli, e sono sicuro di averne fatti anche io. Ma non passerò un solo istante, d’ora in avanti, a rimpiangere ciò che sarebbe potuto essere. Questa campagna è stata e resterà il più grande onore della mia vita. E il mio cuore non è ricolmo che di gratitudine per quest’esperienza e per il popolo americano che mi ha dedicato la sua attenzione prima di decidere che il senatore Obama e il mio vecchio amico e senatore Joe Biden avrebbero avuto l’onore di guidarci nei prossimi quattro anni.
Non sarei un americano degno di tal nome se dovessi rimpiangere una sorte che mi ha concesso lo straordinario privilegio di servire l’America per mezzo secolo. Oggi sono stato il candidato alla più alta carica nel Paese che amo così tanto. E stasera resto il suo servitore. Questa è una benedizione sufficiente per chiunque, e perciò ringrazio la popolazione dell’Arizona. Questa sera, più di ogni altra sera, nel mio cuore non c’è che amore per questo Paese e per tutti i suoi cittadini, sia che abbiano sostenuto me o il senatore Obama, e auguro buona fortuna all’uomo che è stato il mio rivale e che sarà il mio presidente.
E mi appello a tutti gli americani, come spesso ho fatto in questa campagna, a non disperare delle nostre attuali difficoltà, ma di credere sempre nella promessa e nella grandezza dell’America, perché niente è ineluttabile, qui. Gli americani non si lasciano mai andare. Noi non ci arrendiamo mai. Non ci nascondiamo dalla Storia, noi facciamo la Storia. Grazie, Dio vi benedica e benedica l’America.