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Come cambiano «i soggetti economici dello sviluppo»

Il mondo dell'impresa manifesta un interesse sempre crescente per la circular economy, mentre rispetto ad altri paesi siamo indietro nella sharing economy. E in generale non mancano ritardi di altro tipo...
di Redazione

L’economia cambia e a cambiare, soprattutto, sono i modelli di sviluppo. Nel suo annuale rapporto sulla situazione sociale del paese, il Censis prende in esame quelli che definisce i soggetti economici dello sviluppo, cui ampio risalto viene dato a “nuovi” modelli quali la circular economy e la sharing economy. Non manca però la nota dolente: il nostro paese presenta ancora dei ritardi strutturali che dovrà colmare in poco tempo per manteree il passo dei principali competitor internazionali.

Economia circolare. Il mondo dell’impresa, spiega l’istituto, «manifesta oggi un interesse crescente per la circular economy. Secondo un panel qualificato di più di mille persone interpellate dal Censis, i più convinti delle potenzialità della transizione sono proprio gli imprenditori e i liberi professionisti (32,6%). In posizione intermedia si collocano i funzionari pubblici e i dirigenti d’impresa (28,6%). Un più diffuso scetticismo sembra invece attraversare l’ambiente accademico: solo il 19,2% dei docenti universitari e dei ricercatori accetta l’idea di trovarsi di fronte ad un nuovo paradigma». L’Italia presenta in questo ambito dei punti di vantaggio. «Perché ha il più basso consumo di materiali grezzi in Europa (8,5 tonnellate pro-capite contro le 13,5 della media Ue) e si colloca ai primi posti tra i Paesi europei per quanto concerne la capacità di generare valore a partire dalle risorse impiegate nei processi produttivi: il rapporto tra Pil e Dmc (Domestic material consumption, definito come la somma di tutte le materie prime estratte all’interno del territorio nazionale più tutte le materie importate, meno tutte le materie esportate) è di 3,34 euro/kg contro un valore medio europeo di 2,21 euro/kg».

Sharing economy. Nella sharing economy l’Italia fa ancora fatica (soprattutto rispetto a paesi come la Germania, sottolinea l’istituto), «ma le percentuali di italiani coinvolti in qualche modo in azioni di sharing, di noleggio sostitutivo o di acquisto di prodotti ricondizionati non sono trascurabili (il 19%, il 14% e il 22% rispettivamente). Il car sharing ha raggiunto nel 2017 1.310.000 iscritti e 7.030.000 noleggi. Significativa anche la crescita delle biciclette in condivisione, che sfiorano oggi le 40.000 unità con 265 Comuni coinvolti. Il 38,5% degli italiani è disposto a sperimentare queste nuove formule di utilizzo del mezzo privato. Nel 2005 i giovani di 18-29 anni rappresentavano il 13,4% dell’immatricolato. Nel 2016 sono scesi al 7,9%. Per contro gli ultrasessantacinquenni, che coprivano il 10% delle vendite nel 2005, oggi si attestano al 17,6%. E supera il 50% la quota di giovani di 18-34 anni che manifesta interesse verso il car sharing».

I ritardi. E veniamo ora ai tasti dolenti. «Il 36,4% della popolazione – osserva il Censis – è raggiunta da una connessione che ancora non supera la velocità di 30 Mbps, mentre solo il 29,3% degli utenti ha la possibilità di collegarsi ad almeno 100 Mbps. Inoltre, al crescere dell’età cresce la quota di chi possiede basse o addirittura inesistenti competenze digitali di base. È il 33,3% degli italiani ad avere basse competenze e il 3,3% ad averle nulle, mentre il dato sale rispettivamente al 47,9% e al 6,9% nel caso dei 64-74enni». Come scontiamo tale divario? Presto detto: «Una bassa o inesistente capacità di relazionarsi con gli strumenti digitali rappresenta un problema sia nell’immediato che nel lungo periodo, soprattutto se si pensa alla sempre maggiore digitalizzazione dei servizi offerti dalla Pubblica Amministrazione e ai servizi commerciali sempre più digital first».

(fonte: Censis)

 

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