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Cosa è il Meccanismo europeo di stabilità

Perché se ne discute molto in questi giorni e quali sono i punti controversi della bozza di riforma

di Redazione

Che cosa è il Meccanismo europeo di stabilità (Mes) per cui, negli ultimi giorni, è scaturita in Italia una polemica politica a causa della riforma per cambiarne le regole e alcuni tecnicismi nell’UE? Iniziamo con il dire che l’istituzione di un meccanismo permanente di stabilità dell’area euro è stata resa possibile attraverso una modifica all’articolo 136 del Trattato sul funzionamento dell’UE ed è ora tra i pilastri del nuovo sistema di governance economica europea. Il meccanismo ha dapprima affiancato e poi sostituito, dal 2012, i precedenti strumenti di stabilizzazione finanziaria quali l’EFSM (European financial stabilisation mechanism) e l’EFSF (European financial stability facility).

Nel dettaglio, l’obiettivo del Mes – si legge nel Trattato che lo istituisce – «è quello di mobilizzare risorse finanziarie e fornire un sostegno alla stabilità, secondo condizioni rigorose commisurate allo strumento di assistenza finanziaria scelto, a beneficio dei membri del Mes che già si trovino o rischino di trovarsi in gravi problemi finanziari, se indispensabile per salvaguardare la stabilità finanziaria della zona euro nel suo complesso e quella dei suoi Stati membri. A questo scopo è conferito al Mes il potere di raccogliere fondi con l’emissione di strumenti finanziari o la conclusione di intese o accordi finanziari o di altro tipo con i propri membri, istituzioni finanziarie o terzi».

Sostanzialmente, il meccanismo serve ad aiutare i paesi dell’area dell’euro in difficoltà (l’Eurozona si è dotata di tale strumento per fare fronte alla crisi dei debiti sovrani) tramite diversi canali quali prestiti economici o acquisto di titoli di Stato, in cambio tuttavia di un piano di riforme concordato tra le parti chiamate in causa (in specifici casi può essere coinvolta anche la BCE). Finora il Mes ha erogato prestiti per un valore complessivo di 254,5 miliardi di euro a Irlanda, Cipro, Portogallo, Spagna e in tre occasioni alla Grecia. L’Italia è il terzo contributore dopo Germania e Francia (poco più di 14 miliardi versati, pari al 17,8%, scrive LaVoce.info).

In questi giorni si sta discutendo molto della sua riforma (la bozza ha ottenuto il via libera dell’Eurogruppo a giugno), in attesa di approvazione dei governi entro dicembre, per poi essere ratificata dai Parlamenti nazionali a partire da gennaio. Tale riforma, nelle intenzioni, rafforzerà il Meccanismo nella prospettiva di un ulteriore passo verso il completamento dell’Unione bancaria. Ma contiene, in effetti, alcune criticità legate in particolare alle clausole di azione collettiva (CACs), strumenti che – spiega un paper della Banca d’Italia del 2013 – «consentono a una maggioranza qualificata di investitori in obbligazioni di modificare i termini di pagamento di un titolo, in maniera giuridicamente vincolante per tutti i detentori del titolo stesso, in modo da facilitare una ristrutturazione ordinata del debito».

Il “nuovo” meccanismo potrebbe prevedere l’istituzione della single limb CACs, per cui, per modificare i termini del titolo, potrebbe essere sufficiente la maggioranza del totale dei detentori del debito pubblico e non più la doppia maggioranza, comprendente, cioè, anche un quorum per ogni singolo titolo emesso in precedenza. Una procedura che potrebbe “interessare” quei paesi con i conti non in ordine a causa di un processo di ristrutturazione reso più agevole, aumentando la percezione di rischio e di insolvenza. Con la conseguenza, si pensi ad un caso come quello italiano, di uno spread alle stelle e un deprezzamento dei nostri titoli.

 

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