L’attesa è finita, il Regno Unito al voto
Cittadini britannici chiamati alle urne giovedì 12 dicembre dalle 7 alle 22 (ora locale). I conservatori di Boris Johnson mantengono il vantaggio sui laburisti di Jeremy Corbyn, ma non si esclude il rischio “hung parliament”
di Fabio Germani
L’attesa è finita. Domani, giovedì 12 dicembre, dalle 7 alle 22 locali, i cittadini del Regno Unito saranno chiamati al voto. L’esito delle elezioni anticipate sarà fondamentale non solo per le sorti del paese, ma anche dell’Unione europea. Non è un caso, insomma, se in tanti le considerano le elezioni più importanti degli ultimi anni. Avverrà in tempi brevi la tanto agognata Brexit? Tutto dipenderà dal premier uscente, Boris Johnson. Se i conservatori riusciranno a ottenere la maggioranza assoluta dei seggi – scenario che peraltro i sondaggi sembrano suggerire – allora il divorzio con Bruxelles verrà formalizzato in tempi relativamente brevi, con il Parlamento pronto a votare il suo accordo con l’UE. Ma se il Labour di Jeremy Corbyn, l’altro principale competitor, dovesse riuscire a recuperare terreno, un governo di minoranza potrebbe non essere un’ipotesi da scartare del tutto. Johnson, del resto, chiamando i suoi al voto come riferisce l’agenzia Bloomberg, ha avvertito del rischio “hung Parliament”, il Parlamento impiccato. I laburisti, al contrario dei Tories, vorrebbero rinegoziare l’accordo con Bruxelles, da sottoporre di nuovo a referendum. Linea, quest’ultima, che vede d’accordo gli indipendentisti scozzesi della SNP e, in parte, anche i LibDem di Jo Swinson.
Ma un governo di coalizione a guida laburista è davvero possibile? La risposta è sì, se il Labour, appunto, riuscirà a ridurre le distanze dai Tories attorno al 6-7% (secondo molto sondaggi, i conservatori sarebbero in vantaggio di circa dieci punti). Al riguardo è doveroso ricordare cosa accadde a Theresa May nel 2017, la quale tentò un percorso simile a quello intrapreso ora da Johnson. I sondaggi la davano in netto vantaggio, salvo ritrovarsi in seguito con un numero inferiore di seggi, costringendola a improbabili alleanze con il partito unionista nordirlandese Dup. Poi bisognerà vedere come andranno gli altri, SNP e LibDem su tutti. Il sistema britannico – maggioritario a collegio uninominale – premia chi riesce a strappare più collegi, non necessariamente chi raccoglie più voti in generale. Sempre nel 2017, ad esempio, il Partito nazionale scozzese ebbe più seggi dei LibDem (35 a 12), che pure presero più voti del primo.
Let’s get Brexit done and get on with spreading opportunity and hope across the whole UK and let’s unleash the potential of this country.
— Boris Johnson (@BorisJohnson) December 11, 2019
Come detto, la Brexit è al centro della campagna elettorale. Ma se questo è vero a maggior ragione per Boris Johnson, il Labour di Corbyn ha provato a spostare l’attenzione anche su altri temi. Le visioni che si contrappongono sono sostanzialmente due: da un lato la proposta di Johnson in salsa liberista (neo-thatcherismo, lo hanno definito in tanti), tuttavia con una maggiore inclinazione alla spesa, dall’altra la visione di Corbyn di segno diametralmente opposto, che mira ad un’espansione del welfare e, soprattutto, ad un incremento della spesa da destinare al sistema sanitario nazionale.
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