Usa 2020. La non-vittoria di Sanders
I risultati delle primarie in New Hampshire premiano maggiormente Buttigieg e Klobuchar. Biden “si rifugia” in South Carolina, ma la sua immagine potrebbe essersi ridimensionata: decisive le prossime tappe
di Fabio Germani
Primarie in New Hampshire, vince Bernie Sanders. Tutto secondo copione? Non proprio. Perché Pete Buttigieg è a un passo dal senatore del Vermont, il che lo proietta – considerato il successo nei controversi caucuses dell’Iowa – in testa per numero dei delegati. Sanders, ad ogni modo, si aggiudica il New Hampshire con quasi il 26% dei voti, mentre l’ex sindaco di South Bend si “ferma” poco sopra il 24%. Quattro anni fa, qui, Sanders superò Hillary Clinton di oltre 20 punti. Così, a festeggiare, sono oggi in due: uno per salvare la faccia e mantenere il punto, l’altro perché sta andando meglio delle attese. Festeggia pure Amy Klobuchar, che sorprende con il suo 19,8%. Male, invece, Elizabeth Warren (9,3%) e Joe Biden (8,4%). Sul fronte repubblicano, inutile sottolinearlo, il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, vince con l’85,6% dei consensi.
Cosa spiegano queste primarie? Di per sé molto poco: il New Hampshire è un piccolo Stato del New England, con appena 1,3 milioni di abitanti, di cui il 90% bianchi, il 4% ispanici e il 2% afroamericani, dunque poco rappresentativo della società statunitense. Qui vengono assegnati appena 24 delegati. Tuttavia, da un punto di vista simbolico, dopo il flop dell’Iowa, il voto in New Hampshire contava, eccome. Un’immagine su tutte: una volta capita l’aria che tirava, Joe Biden non ha neppure aspettato i risultati, ha lasciato lo Stato e si è diretto in South Carolina (dove sembra avere ottime chance di vittoria, vedremo tra poco) a fare campagna.
Alla luce dei numeri, seppure ancora trascurabili, quella di Sanders è la più classica delle “non-vittorie”. Il candidato radicale non sta sfondando – nello specifico: non sta centrando l’obiettivo di allargare la sua base, condizione che gli permetterebbe, in caso di nomination, di avere concrete possibilità di vittoria nella sfida di novembre con Trump –, come testimoniano le ottime, fin qui, prestazioni di Buttigieg, il quale a sua volta sta scalando posizioni nell’area moderata, altrimenti appannaggio di Biden. Poi c’è l’incognita Klobuchar, una mina vagante allo stato attuale. «Batterò Donald Trump», ha promesso ai suoi sostenitori. Le cose, infine, si stanno mettendo male per Elizabeth Warren, la quale ha perso lo smalto di inizio campagna elettorale e sta raccogliendo troppo poco per sperare in una rimonta già nelle prossime settimane.
Ci sono le prime defezioni, la più importante è quella di Andrew Yang. Abbandona poi la corsa anche il senatore del Colorado, Michael Bennet. Il prossimo dovrebbe essere Deval Patrick, ex governatore del Massachusetts. È adesso, infatti, che il gioco si fa duro. I sondaggi – la media è di RealClearPolitics – vedono Biden avanti sia in Nevada (caucuses in programma il 22 febbraio) sia in South Carolina (29 febbraio). In quest’ultimo Stato, specialmente, entrerà in ballo il voto degli afroamericani e tra le minoranze l’ex vicepresidente esercita un fascino di gran lunga superiore rispetto a Buttigieg (anche per Sanders in passato sono emerse difficoltà in quel segmento di popolazione). La sua bolla potrebbe però essersi sgonfiata. Notava alcuni giorni fa, tra gli altri, il New York Times, che le sconfitte in Iowa e quella eventuale – poi arrivata in modo netto – in New Hampshire, avrebbero potuto ridimensionare la narrazione secondo cui l’ex vicepresidente «è l’unico in grado di battere Trump». Forse si tratta di una visione parziale, o forse no: tutto dipenderà dalle prossime tappe elettorali.
Sullo sfondo un ulteriore ostacolo per Biden: l’arrivo sulla scena di Michael Bloomberg, che parteciperà al Super Tuesday del 3 marzo. Con quali esiti, si vedrà. Certo è che sta sfruttando la sua enorme ricchezza per spot, annunci pubblicitari online, presenza in radio e tv, minando il campo moderato, riferimento di Biden e Buttigieg. L’ex sindaco di New York resta in fondo nei sondaggi (in California è dato poco sopra il 4%), ma il suo ingresso nella corsa potrebbe comunque destabilizzare l’elettorato dem già abbastanza provato dalle divisioni nel partito. Che a parole, tutto sommato, è pronto a sostenere chiunque riuscirà a emergere nelle primarie pur di battere il presidente il 3 novembre.
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