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Il mercato del lavoro nel 2019

Il Rapporto annuale nasce dalla collaborazione tra ministero del lavoro e delle politiche sociali, Istat, Inps, Inail e Anpal, per produrre informazioni armonizzate e coerenti sulla struttura del mercato del lavoro in Italia

di Redazione

L’edizione 2019 del Rapporto sul mercato del lavoro dell’Istat mostra che il contesto di incertezza globale causato dalle guerre commerciali e dalle tensioni geopolitiche ha ripercussioni sulla zona euro e in particolare in Italia: nel terzo e quarto trimestre 2019, l’occupazione in Italia è al massimo storico di 23,4 milioni di unità, ma al contempo permane la tendenza a una crescita occupazionale a bassa intensità lavorativa, infatti il numero degli occupati supera i livelli del 2008, ma le ore lavorate sono sensibilmente di meno. Emerge quindi un primo divario con l’Unione europea, il gap Europa-Italia del tasso di occupazione è passato da 8,9 punti nel primo trimestre 2014 fino a 10,2 punti nel terzo del 2019, mentre quello del tasso di disoccupazione da 2,1 a 3,5 punti dello stesso periodo.

Secondo il Rapporto il trend recente è caratterizzato da una diminuzione delle ore lavorate e da una caduta del tempo pieno a fronte di una sostanziale tenuta dell’occupazione grazie all’aumento del part time. Attualmente in Italia gli occupati in part time sono 4,3 milioni, che corrispondono 18,6% del totale dei lavoratori. Rispetto al 2008 le giornate retribuite part time sono aumentate del 60% mentre quelle complessive solo del 5%. La crescita è dovuta non tanto alle nuove assunzioni, ma più alle trasformazioni da full time a part time.  La percentuale di lavoratori con orario ridotto è cresciuta negli anni avvicinandosi a quella della media dell’Ue del 20,1%, ma diverso è la ragione che spinge a lavorare in part time: In Italia tra il 2008 e il 2018 la quota di occupati a tempo parziale che dichiara di non aver trovato un lavoro a tempo pieno è passata dal 40,2% al 64,1% mentre in Europa è scesa dal 24,5% al 23,4%. In particolar modo nel Mezzogiorno la quota di part timer involontari raggiunge l’80%, situazione che è maggiormente accentuata per le donne dato che “a parità di condizioni, la probabilità di essere in part time involontario per una donna occupata è circa tre volte superiore a quella di un lavoratore”.

Non solo il part time, anche il tirocinio è una forma che negli ultimi anni è stata sempre più adottata: a livello nazionale, il numero dei tirocini è passato dai 227 mila nel 2014 ai 349 mila nel 2018, con una crescita in termini percentuali del 53,9%. Nel quinquennio 2014-2018, i tirocini hanno rappresentato il 2,5% di tutte le attivazioni riferibili ai nuovi rapporti di lavoro attivati e dei tirocini avviati nello stesso periodo. Secondo i dati, l’incremento ha riguardato sia il numero di individui coinvolti, sia il numero delle imprese ospitanti: il numero di tirocinanti è cresciuto nel quinquennio del 57,1%, per un totale di 1 milione 158 mila – di questi il 51% sono giovani tra i 15 e i 29 anni alla loro prima esperienza lavorativa -, mentre il numero delle imprese che avviano tirocini tra il 2014 e il 2017 è aumentato da 101 mila a 174 mila.

Nel mercato del lavoro italiano, una quota consistente, il 21,7%, è rappresentata dai lavoratori indipendenti, tanto che l’Italia è terza a livello europeo per percentuale di indipendenti. L’Istat, poi, citando la 20th International Conference of Labour Statisticians dell’Ilo, ha individuato la nuova figura dei dependent contractor: coloro che sono formalmente occupati autonomi, ma vincolati da rapporti di subordinazione con un’altra unità economica (cliente o committente) che ne limita l’accesso al e l’autonomia organizzativa.

Questo nuovo tipo di lavoratori autonomi sono, secondo la rilevazione delle forze di lavoro, circa 452 mila. Per i dependent contractor la monocommittenza costituisce un tratto distintivo: circa il 50% dei dependent contractor dichiara di lavorare per un unico cliente a fronte del 15,3% degli altri autonomi.

 

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