Usa 2020. L’America e l’emergenza sanitaria
Altro che impeachment. La crisi legata al coronavirus sarà il banco di prova più importante per Trump. Intanto si vota in Michigan, Washington, Missouri, Mississippi e Idaho, più i caucuses in North Dakota
di Fabio Germani
L’emergenza sanitaria legata alla diffusione del coronavirus entra prepotentemente nella campagna elettorale degli Stati Uniti. Nei giorni scorsi il senatore del Vermont, Bernie Sanders, aveva chiesto di rallentare, di evitare le grandi folle nei comizi e le strette di mano. Da parte sua, però, il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, sta minimizzando molto la portata dell’epidemia (che ormai sta assumendo sempre più i contorni di una pandemia, come ammesso dalla stessa Organizzazione sanitaria mondiale). Ed è su questo imprevisto, molto più che su altre questioni (tipo l’impeachment di cui si discuteva soltanto poche settimane fa), che a novembre Trump si giocherà la sua permanenza o meno alla Casa Bianca. Ma ci arriviamo per gradi.
L’America è intanto di nuovo chiamata al voto per le primarie, in quello di stanotte – martedì 10 marzo – che è una sorta di mini Tuesday, considerato che sono sei gli Stati interessati rispetto ai 14 della scorsa settimana. Si vota in Michigan, Washington, Missouri, Mississippi e Idaho, cui vanno aggiunti i caucuses in North Dakota. In palio ci sono 365 delegati e l’ex vicepresidente Joe Biden, stando ai sondaggi e forte della posizione acquisita dopo il Super Tuesday, è ora il favorito, anche in ottica nomination. Per Bernie Sanders, di fatto il suo unico competitor, sarà importante l’esito elettorale del Michigan, Stato in cui vinse già nel 2016: stavolta, tuttavia, sembra partire piuttosto svantaggiato. Sarà inoltre una prova interessante, perché molti di questi Stati si rivelarono decisivi quattro anni fa nella sfida tra Donald Trump e Hillary Clinton. Biden è il favorito, non solo per il vantaggio nel numero dei delegati (ne ha 670 contro i 574 di Sanders), ma anche sul piano del sostegno politico esterno che ha ricevuto di recente. Tanti gli endorsement di spessore giunti nelle ultime ore, compresi quelli di ex pretendenti alla Casa Bianca, tra i quali la senatrice Kamala Harris (qualcuno già ipotizza possa essere in lizza per il ticket presidenziale qualora Biden riuscisse a ottenere la nomination) e Cory Booker. Sanders – cha dalla sua ha comunque un personaggio storico come Jesse Jackson, simbolo delle battaglie per i diritti civili – ha già fatto sapere che non abbandonerà la corsa in caso di sconfitta (un po’ quello che fece nel 2016, con l’intenzione di portare alla convention democratica la sua piattaforma programmatica) e si è detto sicuro di poter vincere anche senza, eventualmente, il sostegno di Elizabeth Warren.
Ora, però, tutto questo potrebbe perdere di importanza. Se non subito, nei prossimi giorni. Perché l’emergenza coronavirus – sebbene ancora vissuta oltreoceano con minore apprensione rispetto all’Europa – sta iniziando a destare preoccupazione anche negli Stati Uniti. I casi di contagi – oltre 500 e qui in Italia sappiamo bene che sono cifre che potrebbero mutare molto velocemente – si sono registrati in almeno 34 Stati. Trump, dicevamo all’inizio, ha molto minimizzato fin dal principio la vicenda. Di nuovo ieri, via Twitter, faceva riferimento ai numerosi decessi legati all’influenza avvenuti lo scorso anno negli Usa. Ma la retorica dell’inquilino della Casa Bianca è una cosa, la volontà politica della sua amministrazione un’altra. Infatti lo stesso Trump ha pure annunciato che presto verrà chiesto al Congresso di approvare un piano di misure, anche economiche, per contrastare la possibile diffusione del virus. Nel mentre ulteriori riflessioni sulla necessità del muro, ora più che mai. Joe Biden, suo probabile sfidante a novembre, sempre via Twitter non manca di rispondere al presidente.
Secondo molti osservatori, vie di mezzo non sono previste. L’emergenza sanitaria (globale) avrà due effetti, una contrapposta all’altra: o la rielezione di Trump se l’amministrazione riuscirà a dare ai cittadini risposte concrete ed efficaci, oppure la sua fine politica. L’unico punto di contatto tra le due possibilità è che questa crisi avrà quasi sicuramente il sopravvento su qualsiasi altra questione affrontata dall’amministrazione nel suo primo mandato, controversa o di successo che sia stata.
Le puntate precedenti
Usa 2020. Il sorpasso di Joe Biden
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