La crisi, ancora, del settore del turismo
È tra i comparti più in difficoltà dopo l’emergenza sanitaria. Pesano le presenze in meno nelle strutture ricettive e la minore capacità di spesa. Non decolla il bonus vacanze
di Redazione
Non è una novità, semmai una conferma. Tra i settori che più stanno subendo le conseguenze della pandemia c’è sicuramente il turismo. Un settore che, nel complesso, lo scorso anno ha rappresentato poco più del 13% del Pil italiano. E pensare che il 2020, stando al Barometro del turismo di Federalberghi relativo al primo trimestre, era iniziato con un aumento delle presenze a gennaio rispetto all’anno precedente (+3,8% per gli stranieri e +4,8% per gli italiani). Tutto, però, è cambiato con il sopraggiungere dell’emergenza sanitaria.
Turismo colpito in una fase di forte crescita
La riapertura delle attività, dunque anche delle strutture ricettive, per il momento sembra non dare garanzie al settore nel suo insieme. Alcuni modelli previsivi sostengono che se gli italiani che nel 2019 sono andati all’estero facessero le proprie vacanze, nella seconda parte del 2020 e nel 2021, entro i confini nazionali, allora gli effetti del coronavirus potrebbero essere bilanciati, almeno in termini di presenze. Tuttavia, secondo una ricerca del Sole 24 Ore e Infodata per Repower, il turismo è stato colpito in una fase di forte crescita, soprattutto grazie alla diffusione di forme di accoglienza alternative a hotel e alberghi tradizionali come affitti turistici e B&B, che negli ultimi cinque anni erano cresciute del 48%, facendo salire il numero di imprese attive del 30%. L’emergenza sanitaria ha cambiato le carte in tavola, per una serie di ragioni, di cui le principali sono la minore capacità di spesa da parte degli italiani e le nuove abitudini di consumo che potrebbero trasformare il comparto (la diminuzione della spesa complessiva dei clienti nel 2020 sarebbe di 13,3 miliardi di euro). Senza dimenticare che nel pieno dell’emergenza sanitaria – marzo/maggio 2020 – un’intera stagione è andata in fumo (una perdita di 81 milioni di presenze, secondo l’Istat).
Il 15% delle strutture alberghiere ed extralberghiere non ha riaperto
L’indagine sull’impatto del coronavirus svolta da Unioncamere e Isnart su un campione rappresentativo di oltre 2000 imprese ricettive, ha messo in risalto come il 15% delle strutture alberghiere ed extralberghiere non abbia ancora riaperto, mentre, sotto il profilo occupazionale, il 98,4% tra quelle aperte ritiene di dover ridurre gli addetti – fissi e stagionali – rispetto allo scorso anno. È emersa, inoltre, una modesta adesione al bonus vacanze, con il 30,8% delle strutture che afferma di non accettarlo e il 57,6% che dichiara di non avere ricevuto prenotazioni con questa modalità. La scelta, in molti casi, di restare ancora chiusi è stata dettata dagli elevati costi di adeguamento imposti dalle linee guida del Comitato tecnico scientifico (segnalati dal 46% delle realtà che non hanno riaperto) e le scarse prenotazioni (indicate dal 34% delle imprese ancora non operative). Basti pensare che nel mese di agosto, solo il 36,6% delle camere disponibili nelle strutture ricettive del paese risulta al momento prenotato, con una marcata differenziazione a livello territoriale: nelle regioni centrali la quota di prenotazioni si attesta intorno al 40%, mentre nel Nord Ovest scende al 29,3%, il Sud e le isole registrano quasi il 34%. Oltre l’80% delle strutture intervistate, non a caso, dichiara che chiuderà l’anno in perdita.
Oltre 6 alberghi e ristoranti su 10 a rischio chiusura
E non è tutto. Nella nota mensile sull’andamento dell’economia italiana, diffusa a inizio luglio, l’Istat ha lanciato l’allarme: oltre sei alberghi e ristoranti su dieci rischiano la chiusura nel corso dell’anno a seguito dell’emergenza coronavirus, con una potenziale perdita di oltre 800 mila posti di lavoro. Sarebbe perciò a rischio la sopravvivenza del 65,2% delle imprese di alloggio e ristorazione (19,6 miliardi di euro di valore aggiunto).