Usa 2020. Gli americani e i media | T-Mag | il magazine di Tecnè

Usa 2020. Gli americani e i media

Un aspetto non trascurabile per tentare di capire gli Stati Uniti alla vigilia del voto: come si informano gli elettori?

di Fabio Germani

Donald Trump è tornato alla carica e fatto rientro da poco alla Casa Bianca dopo il ricovero per Covid è volato in Florida dove ha tenuto un comizio che ha registrato un bagno di folla per lui. Nell’occasione ha confermato di essere in forma (i medici alla Casa Bianca hanno fatto sapere che il presidente è risultato negativo al tampone) e di essere ormai immune al coronavirus. La stessa informazione, che viene perlopiù contestata dalla comunità scientifica che ancora non sa indicare con certezza se davvero chi ha contratto il coronavirus sviluppa una sorta di immunità e la sua eventuale durata, Trump l’aveva data qualche giorno fa, via social. Twitter ha così deciso di segnalare agli utenti che il tweet «viola le nostre regole sulla diffusione di informazioni fuorvianti e potenzialmente dannose sul Covid-19». Non è la prima volta. Era già successo ad agosto, quando Trump sostenne in un’intervista a Fox News che «i bambini sono quasi totalmente immuni al nuovo coronavirus». La dichiarazione fu poi rilanciata online dalla sua campagna e Facebook decise di rimuoverlo, mentre Twitter minacciò addirittura di bloccare l’account in caso di mancata rimozione del contenuto incriminato.

Photo by Kon Karampelas on Unsplash

Social, piattaforme online e motori di ricerca hanno adottato una politica piuttosto rigorosa riguardo le informazioni diffuse sulla pandemia. Questo non vuol dire, tuttavia, che teorie complottiste o semplicemente non approvate dalla comunità scientifica non siano state veicolate negli ultimi tempi. Uno dei “luoghi” in cui si propagano informazioni dubbie è YouTube, nonostante gli sforzi di contenere la diffusione di notizie fuorvianti o potenzialmente dannose. Già nel 2016 assistemmo ad un ampio dibattito su come i social media siano in grado di influenzare gli esiti elettorali – considerata la velocità di trasmissione di notizie false tra gli utenti –, che ebbe poi una qualche dimostrazione con i casi che vennero a galla successivamente (si pensi a Cambridge Analytica). Un tema di cui non si può tenere conto ancora oggi.

I canali YouTube

Se abbiamo accennato a YouTube è perché, secondo una recente rilevazione del Pew Research Center, la famosa piattaforma video viene utilizzata quale fonte di notizie dal 26% degli americani. Da quanto ha potuto osservare l’istituto, non solo i canali di testate tradizionali, ma anche quelli indipendenti vengono costantemente visualizzati dagli utenti in una ripartizione percentuale pressoché simile (“spesso” nel 23% dei casi per entrambe le voci, “qualche volta” nel 52% dei casi contro il 41%). I 377 canali di notizie su YouTube più popolari, informa il Pew Research Center, sono in gran parte un mix di canali tradizionali (49%) e canali indipendenti (42%), con il resto associato ad altri tipi di organizzazioni (9%). Nella maggior parte dei casi, i canali indipendenti sono incentrati su una specifica personalità, qualcuno cioè che ha costruito un proprio seguito attraverso il proprio canale, che non un’organizzazione strutturata. Non solo: l’analisi di quasi 3.000 video pubblicati dai 100 canali di notizie di YouTube più visti a dicembre 2019, rileva che il 4% di essi riguarda principalmente teorie del complotto, in particolare quelle conosciute come QAnon

(EDIT 16 ottobre 2020: YouTube ha annunciato una stretta sulle teorie complottiste)

Le notizie secondo il pubblico e le fonti preferite

In generale, se si vuole guardare a come gli americani si informano attraverso la tv o altri mezzi di comunicazione, emerge un quadro piuttosto di parte. Ed è in questo modo che spesso i fruitori di news metabolizzano i singoli argomenti. Per capirci, stando sempre ad una rilevazione del Pew Research Center, per circa sei repubblicani su dieci (61%), le cui principali fonti di notizie sulle elezioni sono quelle con un pubblico prettamente di destra – ad esempio tra le numerose talk radio di stampo conservatore e Fox News –, il voto per corrispondenza è un grosso problema, in linea con le convinzioni dettate dal presidente Trump. La quota scende però al 23% tra i repubblicani le cui principali fonti di notizie non includono le talk radio o Fox News. Tra i democratici, invece, coloro che ricevono notizie da una o più tra le cinque principali testate con un pubblico prettamente liberal (MSNBC, CNN, NPR, The New York Times e The Washington Post) hanno circa il doppio delle probabilità di coloro che si informano altrove di affermare che il voto per posta e il rischio brogli non siano affatto un problema (il 67% contro il 35%).

Il fascino (di un tempo) degli endorsement dei giornali

Una delle grandi tradizioni del giornalismo americano alla vigilia del voto – gli endorsement – sembra avere perso il fascino di un tempo. Anche questo fu motivo di dibattito nel 2016. Ha ancora senso dare ai propri lettori, che contemporaneamente si informano in tanti modi diversi, indicazioni di voto? Quattro anni fa, l’indomani dell’inaspettata (per molti) vittoria di Trump, il Las Vegas Sun, tra gli altri, rispose di sì. Gli editorialisti o i componenti degli editorial board, era la motivazione, dispongono degli strumenti e di una mole di dati sui candidati altrimenti di difficile accesso per gli elettori. Il compito dei giornali non è perciò dire alla gente come votare, ma consigliare sulla base delle proprie conoscenze. Varrà ancora nel 2020?

@fabiogermani

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Usa 2020. Gli scenari a poche settimane dal voto, intervista a Elena Corradi, ricercatrice ISPI
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3 Commenti per “Usa 2020. Gli americani e i media”

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