In calo le imprese giovanili, colpa della pandemia
Nel secondo trimestre del 2020 le iscrizioni sono diminuite del 36,3%, con un picco del 62,4% tra quelle turistiche
di Redazione
C’è stato un momento in cui le imprese giovanili (insieme a quelle straniere e, seppure con minore intensità, anche quelle prettamente femminili) trainavano la ripresa di un’economia italiana fortemente provata dagli effetti della crisi del 2008-2009. Un trend che si è continuato a misurare nel corso del tempo, soprattutto un contributo importante al numero crescente di imprese in Italia. Quest’anno, però, anche questa certezza sembra vacillare a fronte delle difficoltà economiche emerse in conseguenza della pandemia e dell’emergenza sanitaria.
Nel secondo trimestre del 2020 le iscrizioni di imprese giovanili al registro delle imprese sono diminuite del 36,3%, con un picco del 62,4% tra quelle turistiche. Provando a ipotizzare nei mesi di novembre e dicembre effetti analoghi a quelli registrati nella prima fase della pandemia, si profila nel 2020 una perdita di nuove imprese under 35 di quasi 20 mila unità. È l’allarme che lancia una ricerca del Gruppo Giovani di Confcommercio, presentata nel corso del meeting digitale Ri-generazione.
Oggi in Italia le imprese giovanili sono quasi 530 mila, viene osservato, l’8,7% di tutto il sistema produttivo nazionale. Il dato risulta in calo di 80 mila unità rispetto a cinque anni fa. Alla diminuzione ha contribuito soprattutto il commercio, con 35 mila imprese in meno, mentre il settore della ristorazione ne ha perse quasi cinquemila. Tuttavia la diminuzione delle iscrizioni delle imprese dei giovani è stato comunque inferiore rispetto a quello dell’insieme delle imprese (-37,1%) e di quello registrato da imprese femminili (-42,3%) e straniere (-50%).
Dall’indagine, poi, emerge che le imprese giovanili, esposte a una maggiore mortalità nei primi anni di vita, superati i cinque anni di attività hanno una probabilità di sopravvivenza superiore rispetto alle altre. A otto anni dalla nascita, infatti, ne troviamo ancora il 62%, laddove le altre imprese sono diventate il 53%.