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Disagio e malcontento tra i giovani, l’altra faccia della pandemia

Segnalate sempre più diffuse forme di depressione. Tuttavia esistono divari che la scuola non riesce a contrastare (e non è colpa solo della didattica a distanza)

di Redazione

La pandemia ha colpito tutti, in modo quasi indistinto. Ma soprattutto le generazioni più giovani rischiano di vivere in futuro una condizione di disagio maggiore, dovuta alle conseguenze che restrizioni e lockdown hanno avuto sulle loro vite, in una fase formativa fondamentale per la crescita personale. Non a caso, gli atteggiamenti e le prospettive per il futuro dei giovani studenti, rileva il Censis nell’ultimo Rapporto sulla sulla situazione sociale del Paese/2021, mettono in risalto tutte le incertezze dovute al momento. 

Dal punto di vista psicologico, il prolungato periodo di pandemia ha provocato effetti collaterali non indifferenti. L’81% dei 572 dirigenti scolastici di scuola secondaria di secondo grado intervistati dal Censis segnala che tra gli studenti sono sempre più diffuse forme di depressione e disagio esistenziale. Il contraltare di questo scenario è l’affermazione dell’esigenza di relazionalità e di prossimità correlata alla rivalutazione dell’andare a scuola (89,6%). Il 76,8% dei dirigenti sottolinea che gli studenti vivono in una fase di sospensione, senza disporre di prospettive chiare per i loro progetti di vita. 

Ad esempio, per il 79,1% nella società è diffusa un’immagine dei giovani troppo negativa, che non corrisponde alla realtà. Più che apatici, indifferenti a qualunque sollecitazione (opinione del 46,3% dei dirigenti), essi sono sottoposti a continui stimoli e informazioni, di cui non riescono a operare una selezione (78,3%). Dopo quasi due anni di pandemia, le certezze rispetto al proprio futuro hanno subito un duro colpo e per il 46,6% dei dirigenti scolastici l’atteggiamento prevalente tra i propri studenti è il disorientamento.

Esistono tuttavia divari e disuguaglianze che la scuola non riesce a contrastare. L’ultima rilevazione Invalsi ha evidenziato un peggioramento delle performance degli studenti italiani rispetto al 2019, ma – avverte il Censis – potrebbe rivelarsi un rischio addossare tutta la colpa alla didattica a distanza cui milioni di studenti sono stati costretti nell’ultimo periodo. Il 75,6% degli oltre 1.700 dirigenti scolastici consultati dal Censis, è molto (29,6%) o abbastanza (46%) d’accordo sul fatto che la Dad, anche nella forma mista della Didattica digitale integrata, abbia solo accentuato le difficoltà della scuola nel contrastare gli effetti negativi di bassi status socio-economici e culturali dello studente. 

È anzi molto diffusa l’opinione che il peggioramento delle performance sia conseguente a un uso della Dad basato sulla mera trasposizione online della tradizionale lezione frontale, senza una reale innovazione didattica (il 65,4% è molto o abbastanza d’accordo), mentre il 62% lamenta un più generale deterioramento delle competenze, solo acuito dalla necessità di fare ricorso alla Dad. Una percentuale di presidi analoga (65,3%) rimarca che con la Dad non si è riusciti a instaurare una valida relazione educativa, mentre il 59,5% imputa una responsabilità non all’uso della Dad in sé, ma al suo utilizzo in un periodo come quello pandemico, con tutto il suo portato di disagio per studenti e docenti.

 

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