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Così «la mappa delle nuove fragilità sociali»

Uscite precoci dal sistema di istruzione, aule scolastiche vuote, sanità senza medici e infermieri: queste le sfide del futuro

di Redazione

È facile sostenere che alla base della dinamica ci siano i ritardi demografici che da anni si osservano in Italia. Fatto sta che il fenomeno descritto dal Censis nel 56° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese/2022 è di tipo emergenziale: scuola e università sono senza studenti, nella sintesi più brutale possibile. Negli ultimi cinque anni, afferma il Censis, gli alunni delle scuole sono diminuiti da 8,6 milioni a 8,2 milioni: -4,7% (403.356 in meno). L’onda negativa della dinamica demografica è particolarmente evidente nella scuola dell’infanzia (-11,5% nei cinque anni) e nella scuola primaria (-8,3%). Anche nelle università nell’anno accademico 2021-22 si assiste a una brusca contrazione del numero delle immatricolazioni: -2,8% rispetto all’anno precedente (9.400 studenti in meno). 

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In base alle previsioni demografiche – aggiunge allora il Censis –, si prefigurano aule scolastiche desertificate e un bacino universitario depauperato. Già tra dieci anni la popolazione di 3-18 anni scenderà dagli attuali 8,5 milioni a 7,1 milioni, e nel 2042 potrebbe ridursi a 6,8 milioni (1,7 milioni in meno rispetto al 2022). Lo tsunami demografico investirà prima la scuola primaria e la secondaria di primo grado, con un decremento, rispetto a oggi, di quasi 900 mila persone di 6-13 anni nel 2032, per arrivare nel decennio successivo a colpire duramente la scuola secondaria di secondo grado: 726 mila ragazzi di 14-18 anni in meno rispetto al 2022. Tra vent’anni, nel 2042, la popolazione 19-24enne avrà subito un calo di quasi 760 mila persone rispetto a oggi: a parità di propensione agli studi universitari, si conterebbero 390 mila iscritti e 78 mila immatricolati in meno rispetto a oggi (e attualmente gli studenti stranieri sono appena il 5,5% degli iscritti all’università).

Nel paese che «vive in uno stato di latenza», per riprendere un concetto espresso proprio dal Censis nel suo rapporto, anche la sanità si mostra senza medici e infermieri. Mentre nel decennio 2010-2019 – scrive al riguardo il Censis – il Fondo sanitario nazionale ha registrato un incremento medio annuo dello 0,8%, passando da 105,6 a 113,8 miliardi di euro, nel 2020 è aumentato a 120,6 miliardi, con un incremento medio annuo dell’1,6% nel periodo 2020-2022 dovuto alle misure per fronteggiare l’emergenza Covid. Ma l’incidenza del finanziamento del Sistema sanitario nazionale scenderà al 6,2% del Pil nel 2024 (era il 7,3% nel 2020). Dal 2008 al 2020 il rapporto medici/abitanti in Italia è diminuito da 19,1 a 17,3 ogni 10 mila residenti, e quello relativo agli infermieri da 46,9 a 44,4 ogni 10 mila residenti. L’età media dei 103.092 medici del Ssn è di 51,3 anni, 47,3 anni quella degli infermieri. Il 28,5% dei medici ha più di 60 anni e un numero consistente si avvicina all’età del pensionamento. Si stima che, nel quinquennio 2022-2027, saranno 29.331 i pensionamenti tra i medici dipendenti del Ssn, 21.050 tra il personale infermieristico. Dei 41.707 medici di famiglia, saranno 11.865 ad andare in pensione (2.373 l’anno).

Tali situazioni mettono in luce le fragilità dell’Italia. E la mappa delle nuove fragilità sociali, è l’osservazione del Censis, contempla innanzitutto le famiglie che vivono in condizione di povertà assoluta: sono più di 1,9 milioni (il 7,5% del totale), cioè 5,6 milioni di persone (il 9,4% della popolazione: 1 milione di persone in più rispetto al 2019). Di queste, il 44,1% risiede nel Mezzogiorno. I giovani 18-24enni usciti precocemente dal sistema di istruzione e formazione sono il 12,7% a livello nazionale e il 16,6% nelle regioni del Sud, contro una media europea di dispersione scolastica che si ferma al 9,7%. Mediamente nei paesi dell’Unione europea la quota di 25-34enni con il diploma è pari all’85,2%, in Italia al 76,8% e scende al 71,2% nel Mezzogiorno. È inferiore alla media europea anche la percentuale di 30-34enni laureati o in possesso di un titolo di studio terziario: il 26,8% in Italia e il 20,7% al Sud, contro una media UE del 41,6%. Il nostro paese detiene anche il primato europeo per il numero di Neet, i giovani che non studiano e non lavorano: il 23,1% dei 15-29enni a fronte di una media UE del 13,1%, quando nelle regioni del Mezzogiorno l’incidenza sale al 32,2%.

 

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