Le condizioni di vita dei pensionati in Italia
Le donne sono la maggioranza sia tra i titolari di pensioni (55%) sia tra i beneficiari (52%), ma gli uomini percepiscono il 56% dei redditi pensionistici
di Redazione
Sono 22,7 milioni le prestazioni del sistema pensionistico italiano vigenti al 31 dicembre 2021, erogate a 16 milioni di titolari, per una spesa di 313 miliardi di euro. Il 90,5% della spesa complessiva (283 miliardi) è destinata alle prestazioni di invalidità, vecchiaia e superstiti (IVS). In particolare, il 72,6% del totale (227 miliardi) è rivolto al pagamento delle pensioni di vecchiaia e anzianità, il 13,9% alle pensioni ai superstiti (43 miliardi), il 4% a quelle di invalidità (13 miliardi). È quanto emerge dal report Istat Condizioni di vita dei pensionati – Anni 2020-2021.
Il sistema dei trasferimenti pensionistici, riferisce l’Istat, impegna ulteriori 25 miliardi (8,2% della spesa complessiva) per la copertura di 4,4 milioni di prestazioni assistenziali (invalidità civile, accompagnamento, assegni sociali e pensioni di guerra) finanziate dalla fiscalità generale. Alle prestazioni di tipo IVS e assistenziali si aggiungono 4,1 miliardi (1,3%) erogati a copertura di quasi 700 mila rendite dirette e indirette per infortuni sul lavoro e malattie professionali. L’andamento dei principali indicatori risente degli effetti della pandemia nel biennio 2020-2021, che ha avuto un impatto rilevante non solo sulle componenti della dinamica demografica, prima tra tutte la mortalità, ma anche sul mercato del lavoro e sul Prodotto interno lordo.
Nel 2021 la spesa pensionistica – prosegue perciò l’Istituto nazionale di statistica – è aumentata di 1,7 punti percentuali rispetto all’anno precedente (nel 2020 la variazione annua è stata di +2,3 punti percentuali) e rappresenta il 17,6% del Pil (era il 18,5% nel 2020 e il 16,7% nel 2019). Dal 2000 al 2018 il rapporto tra spesa pensionistica e Pil non ha mai superato il 17%, l’aumento registrato negli ultimi due anni è il risultato della contrazione del Pil come riflesso della pandemia. Anche il rapporto tra numero di pensionati e occupati risente dell’effetto della crisi sanitaria: è di 714 beneficiari ogni 1.000 lavoratori (717 nel 2020, 694 nel 2019). Se si considerano solo i titolari di prestazioni previdenziali, il rapporto tra pensionati che hanno versato i contributi e i lavoratori che li versano scende a 624 ogni 1.000 lavoratori (628 nel 2020, 608 nel 2019). I valori di entrambi gli indicatori risultano in aumento nel 2020 per poi tornare a calare nel 2021, seguendo quindi il trend in diminuzione registrato a partire dal 2013.
Anche tenendo conto della diversa struttura della popolazione, aggiunge l’Istat, il tasso di pensionamento è più elevato al Nord (269 pensionati ogni 1.000 abitanti), minore nel Mezzogiorno (267) ed è in assoluto più basso al Centro (261). In media nazionale si calcolano 267 pensionati ogni 1.000 abitanti; tale valore è più alto per le donne come conseguenza della maggiore speranza di vita. Il 59,1% delle singole prestazioni pensionistiche è di importo inferiore ai 1.000 euro lordi mensili. Considerando che il 32,1% dei pensionati riceve più di una prestazione, il reddito pensionistico complessivo, dato dalla somma degli importi delle singole prestazioni, è comunque inferiore a tale soglia per un terzo dei pensionati (32,8%)
Nel 2021, il valore mediano dell’importo annuo delle singole prestazioni pensionistiche è di 8.897 euro, vale a dire che la metà delle pensioni prese singolarmente non supera questo importo. Notevoli differenze si rilevano con riferimento al genere, al territorio e alla tipologia di prestazione. Le donne sono la maggioranza sia tra i titolari di pensioni (55%) sia tra i beneficiari (52%), ma gli uomini percepiscono il 56% dei redditi pensionistici. In media, l’importo di una pensione di una donna è più basso rispetto a quello riservato agli uomini per lo stesso tipo di pensione (11 mila contro 17 mila) e i redditi mediani percepiti dalle donne sono inferiori del 28% rispetto a quelli degli uomini (14.529 contro 20.106 euro). La disuguaglianza di genere è influenzata principalmente dalla minore partecipazione delle donne al mercato del lavoro e spesso da carriere discontinue e quindi da storie contributive più brevi e frammentate, caratterizzate anche da un differenziale retributivo generalmente svantaggioso. In Italia, il tasso di occupazione femminile nella classe di età 15-64 anni è infatti al 49,4% nel 2021 (contro il 67,1% degli uomini) e nel Mezzogiorno è occupato il 33% delle donne (56,8% degli uomini). Inoltre, nel 2018 il differenziale di genere tra le retribuzioni orarie medie (GPG) è stato del 6,2% – con forti differenze tra gruppi di professioni (27,3% tra i dirigenti) – e l’incidenza dei dipendenti a bassa retribuzione è più alta tra le donne (11,6% contro 8,5% degli uomini). Tali differenze si riflettono non solo nella diversa distribuzione delle categorie di pensione tra i due sessi, ma, a parità di prestazione, anche negli importi mediani. Infatti, per una pensione di vecchiaia un uomo percepisce 20 mila euro lordi annui e una donna solo 11 mila. L’importo mediano più basso si registra nei trattamenti dei pensionati del Mezzogiorno. Al Sud e nelle Isole gli importi sono rispettivamente l’87% e il 94% del valore mediano nazionale (numero indice, base Italia=100), mentre al Nord si registrano importi mediani pari al 128% nel Nord Ovest e al 123% nel Nord Est.
Inoltre, in media, per l’anno 2021, secondo la Rilevazione sulle forze di lavoro, i pensionati da lavoro che percepiscono anche un reddito da lavoro sono 444 mila, in deciso aumento rispetto al 2020 (+13,3%). Si ricorda che, per effetto della crisi pandemica, il 2020 aveva fatto segnare rispetto al 2019 una contrazione del 6,5% nel cumulo di pensione e lavoro. Il gruppo è composto principalmente da uomini (in oltre tre casi su quattro), da residenti nelle regioni settentrionali (in due casi su tre) e da lavoratori non dipendenti (l’86,3% dei casi). Oltre la metà dei pensionati occupati possiede al massimo la licenza media (circa il 30% per il complesso degli occupati), tre su dieci possiedono un diploma mentre il segmento dei laureati rappresenta oltre un quinto del totale.