L’incertezza economica anche nel 2023 preoccupa le imprese
Una recente indagine CNA mette in luce come caro-energia e inflazione siano considerati i principali fattori di rischio, facendo talvolta optare per una strategia attendista
di Redazione
Il 61% delle imprese dichiara di non essere in grado di dire se nei prossimi dodici mesi la nostra economia continuerà ad espandersi o se invece il processo di crescita iniziato nel 2021 sia destinato a interrompersi. In compenso gli imprenditori esprimono una maggiore consapevolezza quando si soffermano a valutare le prospettive delle loro attività. L’area dell’incertezza si riduce infatti di quasi venticinque punti posizionandosi al 37,2% del totale, un valore in ogni caso – viene fatto notare – molto elevato. Per il resto, si osserva un sostanziale equilibrio tra quanti ritengono che il 2023 sarà un anno soddisfacente per l’attività delle loro imprese (29,8%) e quanti pensano il contrario (33%). Questi, in sintesi, i risultati della recente indagine CNA (Confederazione Nazionale dell’Artigianato e della Piccola e Media Impresa) realizzata a fine dicembre su un campione rappresentativo della realtà produttiva dell’artigianato e della piccola impresa (hanno risposto al questionario 927 imprese, distribuite tra attività dell’industria – 25,6% nella manifattura e 25,3% nelle costruzioni – e dei servizi), una guida utile per comprendere meglio le attese degli attori produttivi e le questioni che preoccupano di più.
Il clima generale, infatti, appare compromesso dal protrarsi delle varie criticità emerse nel corso del 2022: inflazione, caro-energia, difficoltà di reperimento di materie prime, tutte circostanze che concorrono al peggioramento del quadro economico internazionale, condizionato inoltre dalla guerra in Ucraina. La fase di incertezza, dunque, si riflette anche sulle previsioni. Solo l’8,9% crede che nel 2023 il PIL continuerà a crescere, mentre il 30,1% immagina che i dodici mesi del nuovo anno saranno difficili e caratterizzati «da un lieve rallentamento dell’attività economica» (16,6%) se non addirittura «da una recessione severa» (13,5%).
Per i prossimi dodici mesi infatti quasi il 40% degli intervistati dichiara che ridurrà gli investimenti. Si tratta di un dato che, letto insieme a quello sull’occupazione (il 66,5% delle imprese intende confermare gli organici in essere), «sembra interpretabile – scrive la CNA – in maniera piuttosto chiara: in una fase che non offre alcuna certezza circa il futuro le imprese optano per una strategia attendista: da un lato confermando l’ampiezza dell’occupazione, per essere pronte a cogliere eventuali incrementi della domanda; dall’altro, rinunciando a investire in beni capitali fintanto che il quadro operativo di riferimento non risulti più chiaro».
Quanto ai rischi generali, secondo il 65,5% delle imprese il caro-energia è il principale fattore che potrebbe pregiudicare la crescita economica dell’Italia nel 2023. Altri elementi sono il protrarsi delle tensioni inflazionistiche (47,7%), la mancata attuazione degli investimenti previsti nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (41,8%), il venir meno delle politiche di sostegno all’economia (39,7%). Le imprese, più a livello individuale, dichiarano inoltre di temere altre criticità quali il peggioramento delle condizioni di accesso al credito, la difficoltà di reperire manodopera qualificata e la scarsità di materie prime e semilavorati. «L’accesso al credito, che anche in momenti storici più favorevoli è stato spesso indicato come uno dei principali punti nevralgici per le imprese – spiega lo stuidio –, viene previsto in peggioramento alla luce delle politiche monetarie restrittive varate dalla Banca centrale europea negli ultimi mesi. La penuria di manodopera qualificata e di materie prime e semilavorati rischiano invece di mortificare la possibilità delle imprese di soddisfare eventuali incrementi della domanda».