Il lavoro oggi, da “great resignation” a “quiet quitting”
L’ondata di dimissioni volontarie registrata nei primi nove mesi del 2022 in Italia è il segnale di un mercato del lavoro destinato a cambiare? L’esempio statunitense
di Redazione
In questi giorni si è tornati a parlare di “grandi dimissioni”, quel fenomeno che dagli Stati Uniti, nel periodo pandemico soprattutto, si è poi “spostato” anche in Europa, fino ad arrivare in Italia. Dall’ultima nota trimestrale sulle comunicazioni obbligatorie del ministero del Lavoro, emerge infatti che nei primi nove mesi del 2022 sono state 1,66 milioni le dimissioni registrate nel nostro paese. Una cifra che vale un aumento del 22% rispetto allo stesso periodo del 2021: allora erano state 1,36 milioni. In altre parole le dimissioni volontarie sono la seconda causa della fine di un rapporto di lavoro dopo i mancati rinnovi dei contratti a termine. Ma da cosa dipendono tali scelte?
A maggio dello scorso anno un’indagine pubblicata dall’Osservatorio HR Innovation Practice della School of Management del Politecnico di Milano, ripresa in queste ore da diversi media, ha messo in risalto come siano soprattutto i giovani dai 18 ai 30 anni, impiegati nei settori Ict, servizi e finanza o che svolgono professioni riguardanti l’ambito digitale, quelli più inclini a rassegnare le dimissioni. A spingere verso queste posizioni l’esigenza di cercare nuove opportunità che portino a maggiori benefici economici (46%), ma anche la crescita professionale (35%). A seguire l’obiettivo di svolgere mansioni che permettano una maggiore salute fisica o mentale (24%), la volontà di seguire le passioni personali e trovare perciò una soluzione lavorativa che vada proprio in questa direzione (18%), ma anche la maggiore flessibilità dell’orario di lavoro, includendo il ricorso allo smart working (18%).
Anche negli Stati Uniti, dove il fenomeno si è osservato in anticipo, le ragioni di dimissioni volontarie sono da ricercarsi in spiegazioni analoghe. Già nel 2021 uno studio del Pew Research Center spiegava che la maggior parte dei lavoratori che aveva lasciato un lavoro in quel periodo, affermava di essere stata motivata dalla retribuzione bassa (63%), dalle poche o nessuna opportunità di avanzamento di carriera (63%), o a causa della mancanza di rispetto nel luogo di lavoro lavoro (57%).
Altro fenomeno osservato in particolare oltreoceano, peraltro diffuso con l’ausilio delle piattaforme social, è il cosiddetto quiet quitting, la cui filosofia consiste nel lavorare il tempo strettamente necessario, non di più, evitando dunque i rischi di burnout. Un trend ritenuto piuttosto in voga tra il 2021 e il 2022, che gli esperti prospettano essere frequente ancora quest’anno, ma con ogni probabilità di più difficile misurazione.