La crisi delle “big tech”, cosa succede?
Molte società tecnologiche sono alle prese con la riduzione degli organici dopo un periodo di nuove assunzioni e importanti investimenti. Ma l’attuale contesto economico sta cambiando gli scenari
di Redazione
L’ultima in ordine di tempo è stata la società svedese di streaming Spotify, che ha annunciato un taglio del 6% dei suoi dipendenti (circa 600 persone). Ma prima erano state Meta (Facebook) – riduzione di 11 mila dipendenti –, poi Amazon – che ha in programma qualcosa come 18 mila tagli a livello mondiale – e più di recente Microsoft (diecimila tagli nel 2023) e Alphabet (Google; in questo caso sono 12 mila i licenziamenti annunciati). In tutto ciò vanno aggiunti i tagli anche di Twitter, all’insediamento del nuovo proprietario, Elon Musk. Insomma, siamo di fronte ad una crisi delle big tech? E soprattutto: da cosa deriva?
Nei periodi più acuti della pandemia queste grandi società hanno compiuto investimenti rilevanti, motivati dalla crescente domanda di servizi online, quest’ultimi dovuti proprio al periodo emergenziale che aveva imposto, allora anche più di quanto non sia oggi, nuovi stili di vita e nuove abitudini di consumo. Per fare fronte a tutto ciò, si è provveduto ad assumere più personale nelle aree ritenute più strategiche per il momento, ma ora, con il contesto economico mutato, gli scenari stanno mutando rapidamente.
Durante la fase espansiva delle big tech si era anche registrata una notevole iniezione di liquidità, con le banche centrali impegnate a sostenere l’economia allo scopo di contrastare la crisi che la pandemia aveva prospettato già dai primi giorni di chiusure diffuse e lockdown. Nel frattempo chi ha scommesso sulla crescita del settore tecnologico in questi anni ha in qualche misura contribuito ad un incremento di quella che in fondo appariva come l’ennesima bolla, gonfiando le quotazioni rispetto alla realtà. I ricavi pubblicitari sono in calo e le attuali circostanze non appaiono più tanto favorevoli.
Ora: molte delle abitudini assunte quando si era costretti a passare la maggior parte del tempo in casa, non sono svanite del tutto, ma il ritorno ad una più estesa normalità ha modificato e non poco le prospettive delle società ad alto contenuto tecnologico. Perciò, con il successivo aumento dei costi energetici e delle materie prime, dell’inflazione – provocando una debolezza dei consumi, tanto negli Stati Uniti quanto in Europa –, nonché l’incertezza causata dal conflitto in Ucraina, la risposta è stata mettere un freno alla precedente ondata di assunzioni. Si stima che oltreoceano, da inizio 2022, siano oltre 200 mila le persone che hanno perso il lavoro nel settore tecnologico. Lo scorso anno, infatti, altre società, quali ad esempio Lyft, Stripe e Snapchat, hanno fatto ricorso al taglio del personale per arginare le perdite.