La spesa sociale dei Comuni durante l’emergenza sanitaria
Con l’inizio della pandemia aumenta la spesa per l’area “povertà, disagio adulti e persone senza dimora”. In Italia le risorse per i disabili sono inferiori alla media UE
di Redazione
Nel 2020, osserva l’Istat nel report La spesa dei Comuni per i servizi sociali relativo al 2020, i Comuni e le loro varie forme associative hanno affrontato un anomalo incremento dei bisogni assistenziali a causa dell’emergenza sanitaria e della conseguente crisi sociale ed economica che ha colpito le famiglie e la cittadinanza. Complessivamente, sono stati impegnati nove miliardi e 699 milioni di euro che, al netto delle entrate provenienti dalla compartecipazione degli utenti e del Servizio sanitario nazionale, corrispondono a sette miliardi e 848 milioni di euro (+4,3% rispetto al 2019).
Con l’inizio della pandemia, l’Istat registra un cambiamento nella composizione della spesa, sia per il tipo e la funzione dell’assistenza fornita, sia per le caratteristiche dei destinatari. Aumenta del 72,9% la spesa per l’area di utenza “povertà, disagio adulti e persone senza dimora”, che passa dal 7,4% al 12,2% della spesa complessiva. Fra le altre aree di utenza, quelle che hanno visto aumentare leggermente la spesa sociale sono “Famiglia e minori” (+1,3%) e “Immigrati, Rom, Sinti e Caminanti” (+2,2%), mentre si riduce la spesa per i servizi offerti ai disabili (-5,9%) e agli anziani (-1,7%). In calo anche la spesa per le dipendenze (-8%) che, tuttavia, assorbe una quota marginale della spesa sociale dei Comuni. Aumentano le spese per i servizi generali e la multiutenza (+5,9%). È aumentata per tutte le aree di utenza la spesa erogata sotto forma di trasferimenti in denaro (+22,7%), in particolare per i contributi a sostegno del reddito per i cittadini in difficoltà economica, mentre è diminuita (-3,7%) la spesa per i vari interventi e servizi (assistenza domiciliare, trasporto sociale, ecc.), di cui in alcuni periodi dell’anno non si è potuto beneficiare a causa dell’emergenza sanitaria. Quasi stabile (-0,8%) la spesa per le strutture, sia residenziali che diurne (centri e strutture residenziali per anziani e disabili, nidi d’infanzia, ecc.), caratterizzate da maggiore rigidità dei costi di gestione.
Rispetto alla media europea, l’Italia destina una quota importante del Pil alla protezione sociale (34,3% contro il 31,7% della media UE), anche se la spesa in termini pro-capite (9.316 euro nel 2020) è leggermente inferiore al dato europeo (9.536 euro). Le prestazioni in denaro assorbono una quota più ampia della spesa per protezione sociale rispetto alla media europea, a scapito delle spese per servizi di cura (77,3% prestazioni in denaro, contro il 66% in media a livello europeo, il 65% della Francia, il 61,7% della Germania). Per la funzione “vecchiaia”, dove è preponderante la spesa previdenziale, l’Italia destina una spesa pubblica superiore alla media europea e in linea con altri paesi, come la Francia e l’Olanda (4.200 euro pro-capite l’anno). Invece le risorse per i disabili sono inferiori alla media UE (476 euro annui, contro 669), così come quelle per le famiglie e i minori (339 euro annui, contro 753), evidenziando una carenza di servizi, ad esempio di natura socio-assistenziale e socio-educativa.