Così la mancata partecipazione al mercato del lavoro in Italia
L’indicatore registra nel 2022 un’evidente riduzione, mentre resta carente la capacità di collocare in modo appropriato il capitale umano
di Redazione
Tra gli indicatori relativi al mercato del lavoro, utili a comprendere le diverse dinamiche, particolare importanza assume la partecipazione. Come spiega l’Istat il tasso di mancata partecipazione, misura l’offerta insoddisfatta di lavoro, considerando oltre ai disoccupati anche gli inattivi che, pur non cercando attivamente lavoro, sarebbero disponibili a lavorare.
Nel 2022 – entra così nel dettaglio l’Istituto nazionale di statistica nel Rapporto Bes 2022 – l’indicatore registra un’evidente riduzione, attestandosi sul valore più basso del quinquennio (16,2%, -3,2 punti percentuali rispetto al 2021), in particolare per la classe di età 15-24 anni (-7,4 punti). Diminuisce poi il numero di persone in cerca di occupazione (-339 mila, -14,3%) e soprattutto quello di coloro che sono disponibili a lavorare, ma non hanno cercato (-623 mila, -20,5%).
Il tasso di mancata partecipazione diminuisce, nel periodo considerato, sia per le donne (-3,5 punti) sia per gli uomini (-3) e il valore del Mezzogiorno (29,8%), nonostante la forte riduzione, pari a -3,7 punti (la stessa del Centro e più marcata di quella del Nord pari a -2,5), continua a essere il più elevato (specie per la componente femminile), superiore di oltre tre volte a quello del Nord e due volte e mezzo quello del Centro.
C’è però un altro elemento che continua a mostrare alcune criticità del nostro mercato del lavoro: l’inefficiente collocazione della forza lavoro. In questo caso l’Istat osserva che il mercato del lavoro italiano soffre di una difficoltà cronica a collocare in modo appropriato il capitale umano. La quota di occupati che possiede un titolo di studio superiore a quello più frequente per svolgere la professione continua nella sua lenta, ma costante crescita e si attesta al 26%. Il fenomeno, più diffuso tra le donne (28,1%), è concentrato nella classe dei più giovani tra i 15-24 anni (44,3%) in modo uniforme tra uomini e donne, tanto che i differenziali di genere tendono a ridursi (meno di un punto percentuale).
La collocazione nel mercato del lavoro, aggiunge l’Istat, migliora progressivamente al crescere dell’età ed è per la classe di 65 anni e più che si osserva il valore più basso dell’indicatore (11,5%). Analizzando i dati per titolo di studio, le quote più elevate di occupati sovraistruiti si riscontrano tra le persone con diploma (38,4%), in particolare tra gli uomini (40%). Il fenomeno interessa circa un terzo degli stranieri occupati (33,1%), poco più di un quarto degli italiani (25,2%), solo il 12,3% dei lavoratori autonomi co dipendenti, mentre è più elevato tra i dipendenti a termine (35,7%). I settori di attività economica in cui è più diffuso il fenomeno sono i Servizi alle famiglie (42,4%) e Alberghi e ristorazione (36,2%). Tra le professioni le percentuali più elevate si registrano tra quelle del commercio e servizi (43,7%) e tra quelle non qualificate (39,7%). I valori più elevati si riscontrano nel Centro (29,2%) e in tutte e tre le ripartizioni la quota di occupati sovraistruiti è maggiore tra le donne.