Consumo di bevande alcoliche ai livelli pre-pandemia
Oltre 7,7 milioni sono però gli italiani che hanno bevuto alcolici in quantità tali da mettere a rischio la propria salute. Un taglio dei consumi potrebbe generare benefici al sistema sanitario e al mercato del lavoro
di Mirko Spadoni
Alcuni rapporti fotografano una situazione a tratti preoccupante: pochi giorni fa, in occasione dell’Alcohol Prevention Day, l’Istituto superiore di Sanità ha diffuso i numeri sul consumo di alcol in Italia. Nel 2021 i consumatori sono stati 36 milioni, perlopiù uomini (quest’ultimi sono 20 milioni), con una porzione consistente (dieci milioni e mezzo) che ha bevuto quotidianamente, tornando ai livelli precedenti la pandemia.
Tra i consumatori a rischio, preoccupano soprattutto i giovani (circa 1.370.000 tra 11 e 25 anni, di cui 620.000 minorenni), le donne (circa 2,5 milioni, in crescita dal 2014, con punte massime di consumatrici a rischio del 29% tra le minorenni 16-17enni), gli anziani (2,6 milioni, di cui uno su tre e quasi una su dieci over 65 sono a rischio: eccedono su base quotidiana e consumano fuori pasto). C’è poi una quota – oltre 7,7 milioni di italiani di età superiore a 11 anni (pari al 20% degli uomini e all’8,7% delle donne) – che ha bevuto quantità di alcol sufficienti da esporre la propria salute a rischio.
L’Unione europea punta a tagliare del 10% i consumi di alcol entro il 2025, sensibilizzando i consumatori anche attraverso l’applicazione di etichette con informazioni sui rischi legati al consumo di bevande alcoliche, indipendentemente dalla gradazione. I benefici potrebbero essere molti.
Sulla base degli attuali modelli di consumo in Italia – nel nostro paese, i livelli di consumo di alcol si aggirano intorno ai 7,8 litri di alcol puro pro capite all’anno, pari a circa 1,6 bottiglie di vino o 3,0 litri di birra alla settimana per persona dai 15 anni in su –, le simulazioni dell’OCSE, l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo economico, stimano che le malattie e gli infortuni causati dal consumo di oltre un drink o un drink e mezzo al giorno comportano costi di cura pari allo 0,7% della spesa sanitaria, oltre a una riduzione della produttività della forza lavoro.
Di conseguenza, le stime sostengono che il Prodotto interno lordo italiano diminuirà dello 0,7% da qui al 2050, escludendo qualsiasi impatto sull’industria degli alcolici. A causa di un PIL inferiore, e per mantenere un rapporto debito pubblico/PIL costante, l’Italia dovrebbe raccogliere entrate aggiuntive equivalenti a un aumento delle imposte di 27 euro pro capite all’anno.
L’OCSE ha suggerito alcune azioni – rinforzo dei posti di blocco per contrastare la guida in stato d’ebbrezza, divieto totale di pubblicità di alcolici, tassazione degli alcolici, rinforzo dello screening e l’assistenza nelle cure primarie, della regolamentazione in materia di pubblicità, prezzo minimo per contrastare gli alcolici a buon mercato – per affrontare il consumo dannoso di alcol, quantificandone anche i benefici economici.
Investendo 1,7 euro pro capite in queste misure, secondo le stime dell’OCSE, l’Italia potrebbe prevenire 1,7 milioni di infortuni e malattie non trasmissibili entro il 2050, indurre ad un risparmio di 197,6 milioni di euro all’anno in spese sanitarie, aumentare l’occupazione e la produttività per l’equivalente di 17 mila e 400 lavoratori a tempo pieno all’anno. Per ogni euro investito nel pacchetto di misure rafforzate, conclude l’OCSE, 16 euro ritorneranno in benefici, senza considerare l’impatto sull’industria degli alcolici.