Migranti, raggiunta un’intesa sul nuovo Patto Ue
Intesa raggiunta. Al termine di un lungo negoziato, i ministri degli Interni dell’Unione europea, riuniti in Lussemburgo al Consiglio Affari interni, hanno trovato ieri un accordo sul nuovo Patto sulla migrazione che riforma il diritto d’asilo e la gestione dei migranti. Ampio il sostegno all’accordo, che adesso passa all’esame del Parlamento europeo: soltanto Polonia e Ungheria hanno votato contro mentre Malta, Slovacchia, Lituania e Bulgaria si sono astenute. Il resto a votato a favore, inclusa l’Italia. Che ha visto soddisfatte molte sue richieste. L’intesa prevede una maggiore solidarietà tra i Paesi europei, con gli Stati che dovranno dare sostegno ai partner in difficoltà con l’accoglienza, dando la propria disponibilità ai ricollocamenti o pagando 20 mila euro per ogni migrante non ricollocato (soldi che, su richiesta dell’Italia, saranno destinati ad un fondo europeo per la dimensione esterna a favore dei Paesi terzi: «Abbiamo rifiutato ogni possibile compensazione in denaro perché non ritenevano che la dignità del nostro Paese potesse mettere in campo soluzioni di questo tipo», ha spiegato il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi). Novità anche sulla gestione degli arrivi, con l’introduzione di una procedura accelerata di rimpatrio verso Paesi terzi, considerati sicuri, anche di transito, per i migranti che hanno poche probabilità di ottenere l’asilo nell’Unione europea. Ed è proprio sulla definizione di Paese terzo che le trattative hanno subito un rallentamento. Alla fine, però, i ministri hanno raggiunto un’intesa, trovando «una formulazione nel testo che potesse consentire una conciliazione tra le diverse posizioni sulla definizione del Paese terzo sicuro. Una formulazione che non fosse troppo stringente, vincolante, che depotenziasse il testo», ha detto Piantedosi. Saranno gli Stati membri ha decidere quale Paese potrà essere considerato un “Paese terzo sicuro”, determinando se esiste una connessione tra il migrante. «Il testo include alcuni esempi su cosa sia la connessione del migrante con il Paese di transito: se la persona ha vissuto o ha membri della famiglia nel Paese. Ma possono esserci anche altre possibilità», ha precisato la commissaria europea agli Affari interni, Ylva Johansson.