La discussa tassazione sugli extra-profitti
La misura annunciata dal governo ha fatto perdere alle banche italiane quotate a Piazza Affari quasi nove miliardi di euro di capitalizzazione
di Matteo Buttaroni
Negli ultimi mesi si è parlato molto delle conseguenze che la politica monetaria restrittiva della Banca centrale europea ha avuto sul credito concesso dagli istituti bancari: i graduali rialzi, iniziati nel luglio dello scorso anno, hanno portato i tassi d’interesse di riferimento al livello più alto dal 2001 e ciò ovviamente si è riflesso sui tassi d’interesse pagati dalle famiglie sui mutui. Secondo una stima della Federazione autonoma bancari italiani, infatti, nell’arco di un anno, le rate sui mutui a tasso variabile sono aumentate di oltre il 65%, con pesanti conseguenze sulle finanze dei consumatori.
È per questo che il governo italiano ha tentato di correre ai ripari, annunciando una tassa sugli extra profitti realizzati dalle banche come diretta conseguenza nell’aumento del costo del denaro prestato, con l’intento di redistribuire i proventi della tassazione alle famiglie che hanno più difficoltà a pagare le rate di mutui a tasso variabile.
Una decisione che già di per sé ha penalizzato sia le banche che gli investitori: martedì (all’indomani del Consiglio dei Ministri in cui si è discusso il provvedimento) le banche italiane quotate a Piazza Affari hanno bruciato quasi nove miliardi di euro di capitalizzazione, con il FTSE MIB che ha chiuso in calo di 2,12 punti. Un crollo che ha portato il ministero dell’Economia e delle Finanze a diffondere una nota in cui spiega più dettagliatamente la misura.
Nel comunicato stampa, il MEF precisa innanzitutto che norme similari sono già esistenti in Europa (in Spagna il governo Sanchez ha raccolto 1,45 miliardi di euro, ma le banche spagnole hanno minacciato di ricorrere alla Corte costituzionale. Nel Regno Unito, invece, una misura simile è allo studio), spiegando poi che «la misura, ai fini della salvaguardia della stabilità degli istituti bancari, prevede anche un tetto massimo per il contributo che non può superare lo 0,1 % del totale dell’attivo». La base imponibile di tale imposta, si legge, «è determinata dal maggior valore tra l’ammontare del margine d’interesse di cui alla voce 30 del conto economico, redatto secondo gli schemi approvati dalla Banca d’Italia, relativo all’esercizio antecedente a quello in corso al 1° gennaio 2023 che eccede per almeno il 5 per cento il medesimo margine nell’esercizio antecedente a quello in corso al 1° gennaio 2022 e l’ammontare del margine di interesse di cui alla voce 30 del conto economico, redatto secondo gli schemi approvati dalla Banca d’Italia, relativo all’esercizio antecedente a quello in corso al 1° gennaio 2024 che eccede per almeno il 10 per cento il medesimo margine nell’esercizio antecedente a quello in corso al 1° gennaio 2022».
Una delle critiche mosse contro la tassa sugli extra-profitti è che rischia di essere iniqua, favorendo chi all’epoca dell’accensione del mutuo ha optato per il tasso variabile, considerandolo non solo più conveniente in prospettiva futura rispetto ad un tasso fisso (perché magari il tasso medio era intorno al 3%, quindi aveva margine per scendere, assumendosi al contempo il rischio di potenziali rialzi), ma anche più conveniente al momento della stipula in quanto meno oneroso rispetto al fisso in fase di sottoscrizione proprio perché più soggetto a oscillazione e con un indice di rischio più elevato per il mutuatario (il cliente) e più basso per il mutuante (la banca).
Fatto sta che, secondo gli ultimi calcoli di Cer per Confesercenti, in due anni l’aumento dei tassi di interesse potrebbe tradursi in un aggravio di spesa di quasi 14,4 miliardi di euro (20 miliardi se si considerano anche i maggiori oneri sui mutui a tasso variabile).
Un’altra analisi, questa volta realizzata da Radiocor, prima delle specifiche diffuse mercoledì mattina dal MEF, è stata fatta sul potenziale gettito della tassazione sugli extra-profitti delle cinque principali banche italiane (Intesa Sanpaolo, UniCredit, Mps, Banco Bpm, Bper e Mediobanca). Dall’analisi dei bilanci del I semestre del 2023 emerge che il gettito potrebbe aggirarsi intorno ai 2,5 miliardi di euro. Solo per Intesa Sanpaolo l’importo delle tassazioni ipotetiche sugli extra-profitti sarebbero pari a poco meno di un miliardo di euro, mentre per Unicredit sarebbero circa 790 milioni di euro.
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